Il 18 marzo 2021 comincia da Latina una breve ma significativa maratona alla memoria di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, nella piazza che l’amministrazione comunale nel 2018 ha intitolato alla giornalista e all’operatore Rai uccisi a Mogasdiscio 27 anni fa. La scelta del comitato di quartiere di dedicare quello spazio a Ilaria Alpi non fu casuale: si sta parlando di una zona di periferia dove, dopo tanto cemento e niente altro, sono stati restituiti servizi e spazi pubblici, dunque un progetto culturale più ampio cui partecipano le scuole della città. “Un luogo della memoria e simbolo di legalità e impegno”, aveva detto il sindaco il giorno dell’inaugurazione, quando la targa fu scoperta in una cerimonia che ha visto la partecipazione dei vertici della Rai e della Federazione della Stampa Italiana. C’è molto di simbolico in quella piazza e in quella città, poiché Ilaria Alpi nelle ultime inchieste che stava seguendo aveva probabilmente incrociato la provincia di Latina e in specie il porto commerciale di Gaeta. Secondo la relazione della commissione parlamentare d’inchiesta le indagini sulla morte della giornalista portavano al suo lavoro, che a sua volta coinvolgeva istituzioni, servizi segreti, forze armate e imprenditori italiani, tra i quali la Panapesca di Gaeta oggi prossima a diventare un centro commerciale dopo una lunga crisi industriale. Sotto la nuova struttura resteranno probabilmente sepolti per sempre molti segreti. Dopo la relazione della Commissione parlamentare fu un vecchio collaboratore di giustizia del clan dei casalesi, Carmine Schiavone, a riproporre tutte le ombre dell’attività di quel porto negli Anni Novanta. Schiavone (poi deceduto) nel 2014 fece affermazioni pubbliche che, in qualche modo, confermarono tracce già emerse; disse che Gaeta era il crocevia dei traffici delle navi cargo che facevano la spola con la Somalia nello stesso periodo in cui Alpi e Hrovatin si occuparono di un possibile traffico internazionale di armi e rifiuti tossici dall’Italia. Gaeta era ed è un piccolo porto commerciale, lontano dai maxi controlli di dogana internazionali, stretto in un cuneo della provincia profonda italiana, dentro una cittadina turistica. Non fa rumore quasi mai. A metà degli anni 90 lì spesso facevano scalo le navi della compagnia che si occupava degli scambi tra Italia e Somalia, della flotta Italo-Somala Shifco, nell’ambito di un progetto di cooperazione internazionale.
Progetto in base al quale tra il 1981 e il 1991 furono spesi 1400 miliardi di lire, destinati alla costruzione di infrastrutture in Somalia, come l’autostrada tra Garoe e Bosaso, realizzata per centinaia di chilometri in pieno deserto. Una mole enorme di denaro sulla quale la commissione parlamentare d’inchiesta, per fare luce sulla morte della Alpi e di Hrovatin, parlò di un sistema di corruzione fino al 50 per cento delle commesse. L’azienda di Gaeta Panapesca in quel periodo aveva rapporti con la flotta Shifco ma l’amministratore ha affermato anche in Commissione che si trattava di rapporti esclusivamente commerciali inerenti l’acquisto di pesce somalo. mai nessuna prova è stata trovata finora circa la presenza a bordo di altro materiale. Il pentito Carmine Schiavone in una intervista ad Andrea Palladino per ToxicLeaks, ricorda come “certamente anche da Gaeta partissero le armi e i rifiuti, proprio in quel periodo. Nei locali vicino al porto i somali parlavano. E i suoi uomini ascoltavano. Per poi riferire a Casal di Principe, la ‘capitale’ del cartello comandato da Francesco ‘Sandokan’ Schiavone. Così avveniva a Napoli, dove le navi che portavano il cemento sfuso della nostra società Eurocem e ripartivano cariche di armi, verso i paesi del nord Africa e del Medio Oriente. Organizzate da chi? Non da noi, ma dai servizi di sicurezza. Porti da dove partivano le armi e i rifiuti non erano solo Gaeta e Napoli. A Trapani c’era una collaborazione tra Cosa nostra e i servizi come mi raccontava in carcere un boss di Mazara del Vallo”.
Carmine Schiavone è il pentito di mafia che più ha parlato di Latina e della sua provincia prima che intervenissero i due pentiti del clan Di Silvio, nel 2017. Fu infatti sempre Schiavone a riferire dell’interramento di rifiuti nella discarica di Borgo Montello. gestita fino al 2015, in parte, da una società di cui il Comune di Latina era comproprietario.
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