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Brescello nell’occhio del ciclone

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Nei giorni in cui vengono pubblicate le 1400 pagine di motivazioni della sentenza di Grimilde, il processo alla ‘ndrangheta dei Grande Aracri, l’associazione Agende Rosse esce formalmente dalla Commissione per la legalità del Comune di Brescello, stanca dei troppi silenzi e tentennamenti in un paese “fulcro del radicamento mafioso”. E l’Amministrazione comunale replica accusando i responsabili provinciali della organizzazione intitolata a Paolo Borsellino di essere “alla ricerca di una effimera presenza sui mass media”.

Sullo sfondo, dice il Gip di Bologna Sandro Pecorella, c’è una realtà locale ancora incapace di “guardarsi allo specchio”, che poco ha imparato dallo scioglimento del Comune nel 2016 per infiltrazione mafiosa e dal successivo commissariamento.

42 condanne su 50 imputati e 231 anni complessivi di carcere sono il bilancio del rito abbreviato, che colpisce la forza e la capacità di penetrazione del mondo politico, finanziario ed economico da parte della cosca di Francesco e Salvatore Grande Aracri, fratello e nipote del boss Nicolino. Condividevano i loro affari illeciti con un esponente politico di Fratelli d’Italia, Giuseppe Caruso, ex presidente del Consiglio Comunale di Piacenza, condannato a 20 anni di reclusione come membro della cosca. Capace nel 2015 di ottenere, secondo la sentenza, i favori dell’allora amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni per dimezzare una esposizione bancaria di 1,3 milioni di euro della Riso Roncaia SpA di Castelberforte (Mantova) sulla quale la ‘ndrangheta aveva messo le mani. “L’amministratore delegato, Ghizzoni, siamo andati a casa sua” , dice Riccardo Roncaia ad un amico in una telefonata del settembre 2015, “ci manda una persona che conosceva, e in due giorni l’ha risolta”.

Caruso non disdegna il dialogo neppure con avversari politici per assicurare alla SpA una enorme fornitura di riso, da consegnare alla AGEA, l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, sulla base di un bando finanziato dalla Comunità Europea. Riso che dovrà andare a ceti poveri e bisognosi. Nel giugno 2015 Giuseppe Caruso si incontra al sud , aiutato nel contatto dalla sorella Antonietta, con Mario Pirillo, esponente di spicco del PD, in precedenza europarlamentare e vicepresidente della regione Calabria. Pirillo è stato soprattutto presidente dell’AGEA e conosceva benissimo la materia. Gli incontri e i colloqui con lui furono diversi e scriveva già il giudice Ziroldi disponendo le misure cautelari del 2019: “Il tema ricorrente dei contatti con il Pirillo, emergente a più riprese e in modo inequivoco, era quello di far ottenere a Riso Roncaia una proroga della data di consegna della fornitura di cereali prevista dal bando”. Per non perdere i 6,8 milioni di euro della commessa. La proroga era necessaria perché la Riso Roncaia non era in grado di fornire quelle tonnellate di riso e per non perdere i soldi arrivò a congegnare una truffa fingendo la rottura di un macchinario. Il giudice Pecorella aggiunge ora in sentenza ulteriori dettagli sui numerosi contatti tra i Caruso e Pirillo senza però, aggiunge, “che l’interessamento dell’esponente PD abbia prodotto alcuna imputazione”.

Da Brescello i Grande Aracri guidavano queste complesse relazioni contando su una cappa di omertà e di soggezione, nel territorio comunale, che la sentenza sottolinea attraverso alcuni episodi emblematici. Come l’interrogatorio di uno degli imputati poi condannati per il 416 bis, Manuel Conte, che così rispondeva al pubblico ministero Beatrice Ronchi: “Era un sabato sera, avevamo parcheggiato la macchina in piazza a Brescello. E un vigile nuovo, mai visto, grosso, ben piazzato, ha iniziato a scrivere la multa. E Paolo (Grande Aracri) gli ha detto: Guarda che hai sbagliato proprio paese. Non è che arrivi tu e fai le multe, ciccione. Se vengo lì ti spacco le ossa. E poi Paolo ha strappato la multa davanti al vigile. Era un vigile nuovo, perché quelli vecchi non hanno mai fatto multe ai Grande Aracri. Anche Salvatore quando andava al bar parcheggiava il BMW nel posto degli handicappati e non gli hanno mai fatto una contravvenzione”.

Il problema per Brescello è che questo e altri fatti analoghi, nei quali a piegare la schiena di fronte ai Grande Aracri non sono i Vigili urbani ma i Carabinieri, non riguardano gli anni lontani in cui il paese di Peppone e don Camillo conquistò la maglia nera di primo comune della regione Emilia Romagna sciolto per infiltrazione mafiosa. Si riferiscono alla primavera del 2019, all’epoca in cui, dopo il commissariamento, era già insediata e governava l’attuale amministrazione comunale guidata dal sindaco Elena Benassi.

Nella cui giunta, scrive Agende Rosse con la lettera che annuncia l’uscita dalla Commissione per la legalità, “siedono ancora due assessori che firmarono il ricorso al Tar contro lo scioglimento del Comune”. Molto dura la presa di posizione quando ricorda la reazione della giunta alla denuncia, da parte di Agende Rosse e Libera, dell’assembramento ai funerali del suocero di Francesco Grande Aracri in piena zona rossa nell’aprile 2020. “Avevamo chiesto una denuncia chiara e inequivocabile dell’accaduto” e invece la Giunta “una presa di posizione dura, chiara e inequivocabile l’ha espressa contro le associazioni antimafia”.

Agende Rosse segnala anche nella sua lettera il fatto che diverse famiglie hanno deciso di iscrivere i loro figli in scuole di altri comuni confinanti con Brescello, segno di un disagio sociale diffuso. Replica l’amministrazione comunale citando per nome uno dei fondatori di Agende Rosse Reggio Emilia, Nicola Bolzoni, “che sta portando avanti questo tema della emigrazione scolastica fin  dalla campagna elettorale del 2018, e questo la dice lunga sui suoi reali obbiettivi”.

Nicola Bolzoni vive a Brescello con la famiglia e contrariamente a chi non è minimamente disturbato dalla presenza stabile della ‘ndrangheta in paese ne denuncia gli affari e i pericoli da anni. Gli abbiamo chiesto quali sono i suoi reali obbiettivi e così ci ha risposto: “I nostri reali obbiettivi li testimoniano le centinaia di chilometri che in questi ultimi anni abbiamo percorso in giro per la provincia di Reggio Emilia, come Agende Rosse, organizzando tantissimi incontri e conferenze con esperti per aiutare i cittadini a conoscere il fenomeno della penetrazione mafiosa nel nostro territorio. E lo abbiamo fatto da volontari, spinti solo dal bisogno di affermare la cultura della legalità”.


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