Il giudice Nino Caponnetto amava ripetere che le mafie temono la scuola più della polizia e dei tribunali. Noi dobbiamo temere la dis-cultura mafiofila e la mafiosità, più del kalashnikof. Noi non abbiamo idea di quante vittime innocenti riescano a produrre una canzone e un video in cui vengano esaltate le gesta di un mafioso e si esprime tutta la simpatia per le sue scelte oltre che il dolore perché è stato arrestato. In un video trap diventato virale nei giorni scorsi, alcuni ragazzi inneggiano al clan di origine rom dei Travali di Latina. Nelle strofe viene citato “Zio Bula”, ma anche il capostipite Antonio Di Silvio, morto nel 2016. “Palletta, l’ho scritto anche sui muri della cameretta, Zio Bula esce in fretta” si canta nella canzone accompagnata dalla mimica di pistole fumanti e movenze da gangster, si mostra tanto denaro e si inneggia a spaccio di droga, omertà e violenza. Si dice che Latina è “cosa loro”. Esaltazioni che trovano terreno fertile in adolescenti di periferia che aspirano ad affermarsi recidendo il cordone ombelicale col mondo degli adulti. Quella canzone incide enormemente di più di sei mesi di scuola senza passione e delle parole di adulti grigi e insignificanti. Quella canzone scolpisce dis-valori nella coscienza dei giovanissimi e concima di sostanze maleodoranti la loro crescita. Dovremmo essere capaci di creazioni altrettanto attrattive del bene. Se non siamo troppo distratti da altro.