Alla mezzanotte di domenica prossima si spegneranno i microfoni di Klubrádió, l’unica emittente radiofonica libera in Ungheria che perderà, così, la licenza di trasmissione. Il provvedimento ha carattere definitivo, in quanto la Corte di Giustizia di Budapest ha respinto il ricorso della radio contro la decisione dell’Autorità dei Media (Nmhh) di privarla dell’autorizzazione a trasmettere. In realtà Klubrádió era da tempo nella lista nera del governo di Viktor Orbán, in quanto critica nei confronti del premier e del sistema da questi creato e guidato, e già nel 2012 aveva rischiato di chiudere ma si era salvata. Qualche mese fa era stata silenziata per ragioni apparse pretestuose: in pratica l’emittente non aveva notificato in tempo alle autorità governative quanta musica ungherese fosse stata trasmessa nei suoi programmi. Si tratta di una prassi obbligatoria per tutte le stazioni radiofoniche sulla base delle norme esistenti in materia nello Stato danubiano. Il punto è che, secondo fonti locali, questa infrazione è stata commessa anche da altre radio che però non sono state sanzionate perché ormai del tutto in linea con l’esecutivo. Una legge entrata in vigore all’inizio del 2012 e chiamata dai critici «legge bavaglio», ha portato alla creazione di un organismo preposto al controllo dei contenuti dei media. Un organismo che è emanazione del governo e strumento, nelle mani di quest’ultimo, col quale silenziare le voci dissenzienti. Klubrádió è una di queste. Quando, nel 2013, la radio si salvò, il suo direttore e proprietario, András Arató aveva parlato di «vittoria della democrazia», ma la resa dei conti finale era stata solo rimandata. Emittente critica e assai seguita, negli ultimi tempi aveva perso le frequenze di cui disponeva in provincia e poteva trasmettere solo a Budapest. Tutte queste misure nei suoi confronti avevano fatto da premessa agli avvenimenti di oggi. «Me l’aspettavo, ma si tratta, comunque, di una decisione vergognosa e codarda», è stato il commento a caldo di Arató che ha parlato di un’«esecuzione» con la quale «Orbán riduce al silenzio l’ultima radio libera del paese», ha precisato. Per Katalin Cseh, eurodeputata di Momentum, l’accaduto è «un nuovo colpo contro il pluralismo dei media»; per lei non ci sono dubbi: in Ungheria «è in corso la soppressione sistematica delle voci indipendenti». Il problema, secondo diversi punti di vista, non coinvolge solo aspetti riguardanti la libertà di stampa ed espressione e ce ne sarebbe già d’avanzo ma anche l’indipendenza del sistema giudiziario, dal momento che solo Klubrádió risulta essere stata posta sul banco degli imputati e sanzionata per un’infrazione commessa anche da altri soggetti. Le circostanze sono contro di lui, ma Arató non
vuole darsi per vinto e intende ricorrere in appello e presentare ricorso alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo e alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, appellandosi al recente regolamento sullo Stato di diritto. Il Partito Socialista (Mszp) ha invece annunciato l’intenzione di coinvolgere sul caso la Commissione cultura del Parlamento, anche se le probabilità di ottenere qualcosa sono poche avendo di fronte una corposa e agguerrita maggioranza governativa. La procedura in atto dal 2018 nei confronti dell’Ungheria, il cui governo è accusato di ledere pesantemente lo Stato di diritto, tiene conto anche delle violazioni in termini di libertà di stampa, ma senza aver dato luogo ad azioni concrete capaci, nell’immediato, di ottenere un cambiamento di rotta da parte dell’esecutivo ungherese. Tra gli esempi più chiari di epurazione in ambito mediatico vanno menzionati quello della chiusura dello storico quotidiano di opposizione Népszabadság nell’autunno del 2016. Il giornale era molto critico nei confronti del governo e cessò di esistere, ufficialmente, per motivi di carattere economico. Più recente, in quanto avvenuto negli ultimi mesi dell’anno scorso, è il caso del licenziamento di Szabolcs Dull da direttore di index.hu, principale giornale online ungherese. «La nostra voce è in pericolo, rischiamo la chiusura», aveva detto Dull. L’allarme era stato lanciato dopo che il 50% delle quote della società editrice di Index era stato acquistato da un imprenditore vicino a Orbán con intenti che si possono facilmente immaginare. Il fatto aveva avuto come conseguenza le dimissioni volontarie dei redattori di index.hu in segno di protesta verso un sistema che si è da presto speso per l’asservimento dei settori strategici della vita pubblica del paese e per ridurre quello dell’informazione a pura propaganda filo governativa.
(da Il Manifesto)