Sono state ore di grande preoccupazione, ma per fortuna Yonca Verdioglu è tornata a casa.
Come decine di altri cittadini turchi che avevano partecipato alle manifestazioni contro la nomina di un rettore vicino al presidente turco Recep Tayyip Erdogan all’Università del Bosforo di Istanbul, era stata arrestata senza che fosse formulata alcuna accusa nei suoi confronti.
Essere un’attivista per i diritti delle donne e moglie di Ahmet Sik, tra i più importanti giornalisti investigativi turchi e oggi parlamentare dell’Hdp, non l’ha certo aiutata.
Sono giorni di grande tensione in Turchia, anche ieri le persone che si sono ritrovate davanti all’ateneo per manifestare pacificamente sono state disperse con la forza dalla polizia.
Oltre seicento studenti sono stati arresti da lunedì scorso ma la repressione del regime non ha fermato la protesta.
Altri 23 dimostranti sono stati fermati dagli agenti nel quartiere di Kadikoy, roccaforte laica sulla sponda asiatica di Istanbul, per aver partecipato a un corteo non autorizzato a cui avevano aderito anche alcuni deputati di opposizione.
Arresti arbitrari sono stati denunciati da organizzazioni per i diritti umani nell’ambito di proteste di solidarietà in altre città turche, tra cui Bursa, Canakkale e Samsun.
La maggior parte dei fermati è stata rilasciata dopo alcune ore.
Le dimostrazioni nella metropoli turca, a cui partecipano anche i docenti dell’ateneo, proseguono dalla nomina a rettore del professor Melih Bulu, oltre un mese fa.
In 158 anni di storia dell’Università di Boazici, non era mai accaduto che in un solo giorno venissero arrestati centinaia di studenti.
Le repressioni sono iniziate il’ 1 febbraio, quando, dopo settimane di proteste ininterrotte, la polizia in assetto antisommossa è entrata nel campus universitario per effettuare una retata.
Ma i giovani non si sono fermati, in un crescendo di solidarietà che ha visto animare cittadini “comuni” la “tencere tava calmak” ovvero la battitura di pentole e padelle.
Le manifestazioni si sono ben presto estese da Istanbul ad altri atenei turchi coinvolgendo il movimento dei diritti civili, gli ambientalisti, i pacifisti, i movimenti femministi e LGBTTIQ, rendendo la protesta sempre più antigovernativa.
Il presidente Erdoan aveva accusato in passato professori e studenti dall’Università del Bosforo di essere “traditori” e “terroristi” e pochi giorni fa, durante un suo intervento al congresso provinciale del suo partito, l’Akp, ha dichiarato che la nomina del rettore della Boazici non si discute e che “il futuro dei giovani in Turchia non sarà mai consegnato ai vandali LGBTTIQ”.
Insomma, nessun passo indietro e ferma intransigenza verso qualsiasi forma di dissenso.
Sull’azione repressiva del governo turco, l’Unione europea ha espresso parole di condanna, sottolineando preoccupazione per la detenzione di studenti che esercitavano il loro legittimo diritto alla libertà di riunione e per la decisione del governatore di Istanbul di vietare ogni tipo di riunione, manifestazione e marcia nei due distretti intorno all’università di Bogazici.
Un preoccupante sviluppo, secondo Bruxelles, “che va contro l’impegno dichiarato delle autorità, per le riforme verso i valori e gli standard dell’Ue”.
“La pandemia non può essere utilizzata come mezzo per mettere a tacere le voci critiche. L’incitamento all’odio mostrato da funzionari di alto livello contro gli studenti LGBTI durante questi eventi e la chiusura di un’associazione LGBTI sono atti inaccettabili” il monito dei vertici dell’Unione europea che, ci auguriamo, dopo le parole assuma provvedimenti chiari e fermi nei confronti di un regime che ormai non nasconde più il suo volto autoritario.