Tra Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Bielorussia, Russia e ora anche il nano Slovenia a rincorrere quello che Michela A.G. Iaccarino definisce, «il soggetto politicamente ibrido delle democrazie illiberali dell’est». Eufemismo per autoritarismi e interventi contro la libertà di informazione molto peggiori di una semplice ‘illiberalità’.
Pratiche forcaiole e autoritarie, variazioni al tema
«Esiste una mappa nel territorio compreso tra Varsavia e Mosca, dove stampa vuol dire solo propaganda e la libertà di parola equivale alla prigione», scrive Michela Iaccarino sull’HP. Tra Budapest, Varsavia, Praga –e in coda ora anche Lubiana, l’inseguimento in casa Ue della illiberalità ‘alta’ di Mosca con Putin, Navalny o meno, sempre un palmo sopra i suoi molteplici imitatori da sponde politiche spesso opposte, ma spinte da analoghi autoritarismi.
Dispotismo tradizionale nella Bielorussa
Nella Bielorussia di Lukashenko sono state appena condannate a due anni di galera due giornaliste ventenni della tv Belsat. «Un approccio dittatoriale tradizionale, quello classico dei regimi». Lukashenko rozzo e mediocre anche come despota, quando nella zona centro-orientale d’Europa «gli attacchi ai media sono più sofisticati, mirati a distorcere il mercato editoriale e dividere la comunità di giornalisti».
Europa strabica a convenienza
European Centre for Press and Media Freedom: «L’Europa ha fallito per mancato riconoscimento del problema, composto, nell’area centro-orientale, da un complesso sistema di leggi ed abusi legislativi, sfruttamento degli aiuti di Stato, distorsione del mercato pubblicitario, il tutto inserito in un’atmosfera in cui il giornalismo indipendente è soggetto a molestie digitali e brutalmente reali».
Ue e quelle regole di libertà base?
«Alcuni Paesi in cui la stampa libera è minacciata sono membri d’Europa e Nato, ma fino a ieri orbitavano nella sfera del Cremlino sovietico», osserva critica Michela Iaccarino. Dall’autoritarismo modello sovietico a quello di versione politica spesso opposta, ma con analoghi risultati: «più che un paradosso, una vergogna che la lezione sull’assenza di libertà non sia stata appresa, un peccato che non abbiano capito quanto sia importante il giornalismo indipendente e l’hanno represso invece di rafforzarlo».
L’Ungheria del pessimo Orban
L’Ungheria il più antico e primario esempio di ‘democrazia illiberale’, Orban docet e Partito popolare ancora consente. «A Budapest e stato costruito un sistema mediatico allineato, asservito al potere, mentre contemporaneamente quello indipendente veniva eliminato, o comprato o messo al bando, o comunque buttato fuori dal mercato».
Polonia, bigottismo reazionario di Stato
A Varsavia le pagine di giornali e dei siti, per un giorno nere come il lutto per il futuro che attende i media nazionali, dopo la decisione del governo di tassare del 5% le pubblicità, che andranno a finanziare contenuti nazionalistici e allineati col Pis, partito al potere Diritto e Giustizia dell’ormai famigerato Jarosław Kaczyński.
Inettitudine e corruzione da nascondere
«Per distogliere l’attenzione dall’inettitudine e dalla corruzione ormai endogena del suo sistema, letteralmente e metaforicamente, a Budapest, regna il silenzio: sono stati chiusi o comprati, uno dopo l’altro, i giornali non vicini alle politiche del governo, e non trasmette più dallo scorso 14 febbraio nemmeno Klubradio, l’ultimo radio libera di criticare il governo sovranista di Orban».
A est successione di leader repressivi
A est la successione di leader autoritari e politiche repressive, a partire dall’Ungheria le cui contestazioni di violazione dei principi delle garanzie e di libertà fondati dell’Unione, restano appese all’ipocrisia e agli opportunismi politici del partito Fidez che agisce con la peggior destra sovranista che resta ancora nel Ppe pur tra ormai molti conati di vergogna anche tra la democristianità più moderata. E altre piccole Budapest c si replicano da Lubiana a Praga «guardano tutte al modello Orban o a quello del Pis polacco».
Bla bla Ue, i despoti e le caricature
Qualche dichiarazione e nessun fatto, le istituzioni europee assistono impotenti e spesso mute «mentre cresce e si allarga la piccola Unione di illiberali all’interno dell’Unione più estesa». Vecchia brutta Europa, e «il silenzio asfittico degli stanchi, dei rassegnati, che la storia chiamerà complici». Intanto a sud dell’Unione, sempre verso est ma a dimensione nana, la piccola Slovenia portata all’’ultra destra prova a ruggire per far paura alla libertà di stampa e di dissenso.
Quello che si congratula con Trump per la vittoria
Il primo ministro Janez Janša, di estrema destra, non ha grande credito internazionale. Destro quanto vuoi, ma le figuraccia del ruffiano scolastico che per essere il primo ad applaudire si congratula col Trump dei suoi sogni delusi, sarà il ridicolo indelebile sulla sua strada politica. Servile coi potenti, prepotente quando crede di poterselo permettere. Pressioni e minacce concrete di alcune leggi per limitare l’indipendenza dei media, hanno creato un clima di forte tensione tra diversi editori e giornalisti, col rischio, per ora, dell’autocensura.
Il gaffeur di governo che critica tutti
Negli ultimi mesi Janša ha definito l’agenzia di stampa slovena «una disgrazia nazionale» bloccando i fondi governativi, salvo poi una parziale retromarcia. Ha accusato la Radiotelevisione nazionale (Radiotelevizija Slovenija, RTV) di diffondere bugie e disinformazione, e ha impedito alle autorità sanitarie di comparire sia nelle trasmissioni delle reti pubbliche che su un canale televisivo privato perché secondo lui diffondevano notizie false sulla pandemia. Cioè, dicevano i numeri veri dei contagi che il governo nascondeva.
L’allarme degli editori
Lo scorso ottobre 22 editori sloveni avevano scritto una lettera aperta per denunciare «bugie, insinuazioni, manipolazioni e gli insulti espressi da chi è al potere, a partire dai vertici del governo». Nel frattempo, i media filo-governativi come Nova24TV esaltano gli attacchi di Janša nei confronti dei giornalisti che non rientrano nelle grazie del governo. La scorsa estate il suo governo aveva proposto modifiche alle leggi sui media per accentuare il controllo del governo sui media pubblici.
La presidente dell’Associazione dei giornalisti sloveni, Petra Lesjak Tušek, ha detto che «in Europa pochi paesi hanno vissuto una regressione così rapida nella libertà di stampa e in quella dei media». Secondo Barbara Štrukelj, la direttrice di STA, anche l’indipendenza dell’agenzia è «assolutamente» a rischio.