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Sulla “coesione sociale”

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In un Paese politicamente diviso come il nostro, sarebbe già un successo ottenere la coesione sulle regole del confronto democratico. Ma tutt’altra cosa è pretendere di affidarla alle scelte politiche di un governo “con tutti dentro” che vada oltre l’ordinaria amministrazione. In un Parlamento che possa dirsi democratico, il confronto fra le rappresentanze di interessi in conflitto, tra una maggioranza e un’opposizione – per lo più rappresentate tradizionalmente alla sinistra, al centro o alla destra dell’aula parlamentare – non solo è inevitabile ma necessario.

Non ci sono soluzioni neutrali per questioni da sempre conflittuali come il perseguimento della giustizia sociale e di quella fiscale, il rapporto fra interesse pubblico e interessi privati, l’accoglienza o il respingimento degli immigrati, la lotta alla corruzione, la difesa dei diritti civili, dell’ambiente ecc. Eppure qualcuno vorrebbe che il Capo dello Stato non avesse soltanto, in base alla Costituzione, il potere di scegliere il Presidente del Consiglio, ma anche quello di evocare una maggioranza e addirittura l’unanimità della fiducia parlamentare. Un potere che – come sappiamo tutti, a cominciare da Mattarella – certamente non ha. Tanto più se si tratta, come in questo caso, di un governo chiamato dal “next generation” a decidere sul futuro del Paese come raramente è accaduto in passato.

Per una giustizia sociale, fiscale e ambientale

Sappiamo tutti anche che la pandemia e la disponibilità ottenuta dall’Europa di grandi risorse finanziarie (che dovranno comunque essere restituite dai cittadini nei decenni che verranno) erano state viste dal governo dimissionario come l’occasione per un cambiamento radicale del modello di sviluppo. In direzione di una maggiore giustizia sociale, fiscale e ambientale.

Ma davvero si può pretendere ora, dopo una crisi provocata ad arte da chi, non solo Renzi e il drappello di Italia viva, si è dimostrato ostile a quel cambiamento, che si risolva tutto nella ricerca di una coesione sociale? Davvero ci si aspetta che dalla parte di chi ha sofferto e soffre per l’aumento esponenziale delle diseguaglianze si concordi un programma politico di riforme con chi fino ad oggi queste diseguaglianze ha favorito e intende continuare a farlo? Con tutto il rispetto e l’ammirazione per il valore e il prestigio del Mediatore, anche la tecnocrazia ha dei limiti.

Realtà o fantasia?

Non hanno limiti invece l’entusiasmo e la fantasia dei commentatori politici nei giornali mainstream. Ne cito uno per tutti. Tommaso Ciriaco che, sulla Repubblica di oggi, si spinge fino a riferire, sulla partita in corso per il governo Draghi, “due schemi di gioco: il primo prevede venti ministri, il secondo ventiquattro. Nel primo caso, i politici in squadra sarebbero dodici: tre per il Movimento, due per PD, Lega e Forza Italia, uno a Italia Viva, Leu e centristi. Nel secondo, addirittura quattordici: tre per Movimento. Pd e Lega, due per Forza Italia, uno per Italia Viva, Leu e centristi”. Oddio, e se avesse ragione?


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