Mentre viene confermata la condanna a tre anni e cinque mesi per l’oppositore di Putin Alexei Navalny, le immagini provenienti dalla Russia continuano a scuotere gli animi dell’opinione pubblica. Per chi guarda alla partecipazione popolare in ottica egualitaria ed occidentale, potrebbe essere non immediatamente comprensibile, la carica emotiva presente dietro queste forme di manifestazione. Per la prima volta l’intera cittadinanza russa si è unita nel nome dell’espressione democratica, dando sfogo a vent’anni di insoddisfazione.
I movimenti di protesta, infatti, non hanno riguardato solo i grandi conglomerati come Mosca, ma anche le zone periferiche, dove l’esercizio della cittadinanza e dei diritti dei singoli è sempre stato ancor più un elemento marginale. Sono più di cento le città che testimoniano quanto il consenso nei confronti di Putin sia in crisi. L’elemento di rottura è il crescente malcontento per le condizioni socioeconomiche in cui riversa il Paese, unitamente al grado di corruzione del regime, il quale continua ad operare su base strettamente oligarchica. Ma tale sfogo è principalmente la risultante di vent’anni di dittatura, i quali hanno prodotto un progressivo deterioramento dei diritti umani, uno su tutti la libertà di espressione e di associazione pacifica.
Manifestare in Russia è un atto di coraggio. Il rischio è quello di essere considerati traditori della patria, e conseguentemente arrestati, perseguitati, e torturati. Il caso Navalny però ha innescato nella popolazione una presa di coscienza collettiva in grado di andare oltre la dimensione politica. Si è ripreso in mano il concetto di dignità umana, e Navalny è così diventato una personalità simbolica, un’espressione della Russia alternativa che ad oggi non è più un miraggio, ma una possibilità concreta. Per la prima volta, il Presidente russo potrebbe vedersi costretto a fronteggiare realmente l’opposizione popolare. Di fatto, gli eventi collegati alla vicenda di Navalny, ci permettono di far luce su uno scenario di speranza, e maggiormente su uno spaccato generazionale intenzionato a rompere con l’attuale regime.
Al grido di “la Russia sarà libera” e di “Putin è un ladro” sono più di due settimane che i cittadini russi rischiano la propria integrità fisica in favore della solidarietà e della difesa dei diritti umani. Attorno alla figura di Navalnysi è creata una sorta di scorta sociale, basti pensare che durante il ritorno dalla Germania, la rotta del suo aereo è stata telematicamente seguita da oltre 500.000 persone. Un evento dalla portata globale, e senz’altro inedito per la comunità russa. Tale scenario potrebbe offrire una fondamentale base di legittimazione popolare ai movimenti politici di opposizione a Putin. Fino ad ora, infatti, le voci di dissenso sono sempre rimaste delle luci isolate, fallendo nel tentativo di confluire in un progetto collettivo.
Questa volta, il coinvolgimento delle giovani generazioni in seguito all’appello di Navalny, potrebbe fare la differenza. Un elemento fortemente degno di nota è proprio il taglio generazionale dei partecipanti alle manifestazioni. Trai protagonisti sono infatti distinti i giovani, molti dei quali sono nati e si sono formati durante l’egemonia putiniana, e per i quali è ancora inevitabilmente presente l’incombenza del retaggio sovietico. Questi, rappresentano la minaccia più temuta alla solidità del regime. Le scuole, le università, i mezzi d’informazione ed anche i social network, opportunamente filtrati, sono fino ad oggi serviti da efficaci amplificatori di propaganda. Si è a lungo instillata nelle giovani generazioni la fuorviante illusione, di vivere in una società continentale europea, all’avanguardia, e competitiva con il resto del mondo.
Ma la capacità persuasiva della comunicazione di Putin è stata anch’essa soggetta a cambiamenti strutturali, i quali hanno comportato l’effettivo ridimensionamento della potenza manipolativa dei messaggi. Di fatto, i video diffusi sul web da Navalny hanno superato il totale del numero di spettatori di tutti gli interventi televisivi di Putin. Fino ad oggi si è vissuto nell’inconsapevolezza di quanto il processo di sviluppo economico compiuto dalla Russia sia stato in realtà ricco di contraddizioni. All’affermazione delle grandi metropoli industriali, soggette al controllo diretto del Cremlino, è corrisposto il totale abbandono delle realtà periferiche, in cui ancora vigono l’oblio sociale e l’analfabetismo.
Di conseguenza, le manifestazioni nate dalla partecipazione attiva in più angoli del paese, assumono importanza per molteplici significati. L’azione collettiva è mossa dal contrasto alla soffocante ingerenza del Cremlino nelle libertà inviolabili, e il prezzo da pagare è ancora carissimo. Tutti gli studenti che tramite i social si sono iscritti a gruppi di appoggio a Navalny, sono stati schedati e segnalati, unitamente alla diffusione dei dettagli anagrafici e di domicilio. I giovani sono stati minacciati di espulsione dagli istituti, e sono state fissate delle elezioni obbligatorie proprio durante le giornate di protesta. Inoltre, le autorità russe hanno minacciato con pesanti multe i responsabili delle reti sociali, intimandoli di oscurare dal web le “informazioni illegali” collegate alle iniziative di sostegno a Navalny. Le riunioni sono al momento catalogate come “non autorizzate” e, sulla base della scusante della violazione delle normative anti Covid, le autorità hanno molestato in varie forme attivisti, giornalisti, e cittadini comuni.
Tali limitazioni alla libertà di espressione risultano però, essere abusive anche in considerazione del fatto che la Russia non ha ancora dichiarato lo stato d’emergenza pandemico, usando quindi l’emergenza sanitaria in ottica strumentale. L’auspicio è che le iniziative europee non si limitino ad una condanna verbale, ma che si concretizzino nel dispiegamento di politiche comuni volte a preservare gli standard dei diritti umani.