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Myanmar: la stampa e la democrazia sotto attacco dopo il colpo di stato

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Ieri, 17 febbraio, undici membri del Myanmar Press Council e più di altri 12 giornalisti  del Myanmar Times, alcuni dei quali editori e redattori, si sono dimessi in segno di protesta contro le nuove restrizioni alla libertà di stampa imposte dalla giunta. I militari accusano i media di istigare le proteste e le nuove direttive impongono di non utilizzare le parole “regime” o “giunta”, quando si fa riferimento allo State Administrative Council (SAC), l’autorità formata dopo il colpo di stato. Altre limitazioni riguardano l’impossibilità di raccontare delle mobilitazioni nel paese. Cosa che ha fatto scattare le dimissioni dei giornalisti.

La situazione nelle città birmane continua a peggiorare. I militari si trovano in un angolo e non sanno come uscirne. Non pensavano che il Movimento di disobbedienza civile, cosiddetto CDM, fosse così compatto e robusto, e, soprattutto durasse così a lungo. In questi giorni le strade continuano ad essere invase dai dimostranti. Gente di tutte le età e di tutte le condizioni sociali. Le banche private sono chiuse da giorni. La gente è ovviamente preoccupata di non poter prelevare i propri soldi e si domanda che succederà il 26 febbraio quando i pensionati dovranno ritirare le loro pensioni. Ci saranno ancora i fondi nelle banche?

 I militari hanno cominciato ad arrestare il personale di alcuni ministeri. Treni e aeroporti sono bloccati. In alcune città e a Mandalay nei giorni scorsi più di 100 persone sono rimaste ferite durante le manifestazioni. I militari hanno cominciato a prendere di mira con i fucili e fionde le abitazioni. I lavoratori delle fabbriche continuano a scioperare. Alcuni macchinisti dei treni che sono fermi da giorni sono stati arrestati e costretti a guidare i treni. Si vocifera di militari che parlano cinese. Voci e basta? Sta di fatto che mentre gli aeroporti sono sostanzialmente chiusi, negli ultimi giorni le mappe che tracciano i voli registrano una intensificazione dei voli tra Kunming e la Birmania.  Nonostante le smentite dell’ambasciatore cinese in Birmania, le preoccupazioni di un sostegno attivo di Pechino ai militari birmani stanno aumentando. Molte sono le manifestazioni pacifiche di fronte all’ambasciata cinese a Yangon.

 

Grazie ai social, e alla presenza di giornalisti di testate e agenzie internazionali, le informazioni arrivano in tempo reale in tutto il mondo, anche se i militari interrompono per la notte i collegamenti internet. Alla conferenza stampa del Comandante in capo delle forze armate, boicottata da molti giornalisti dei media locali, i manifestanti sono stati accusati di violenze ed intimidazioni. Ma non sono solo i lavoratori a opporsi.  I rappresentanti del Parlamento democraticamente eletto riuniti nel CRPH, il comitato che li rappresenta  stanno preparando la denuncia dei golpisti per alto tradimento, sulla base della Costituzione voluta dai militari nel 2008. E per paura di questa possibilità, la giunta ha modificato il codice penale, prevedendo l’alto tradimento solo nel caso in cui  l’uso della forza  non venga attuato al di fuori di quanto previsto dalla costituzione.

La leader birmana nel frattempo rimane agli arresti domiciliari visto che le hanno comminato altre accuse.

Sebbene le pressioni popolari non accennino a diminuire, il tempo non gioca a favore del movimento. Tutti sanno che gli scioperi non possono durare all’infinito e che bisognerà attuare nuovi modi per protestare mantenendo intatto il magro salario e soprattutto la libertà. Infatti stanno aumentando le pressioni nelle imprese e gli arresti nei ministeri e tra gli attivisti, soprattutto le celebrities che stanno appoggiando il movimento. Le nuove leggi repressive sembrano far volgere al peggio la situazione.

Il punto è che le dinamiche geopolitiche che la Birmania scatena sono molto complesse e coinvolgono grandi players. Se da un lato l’ambasciatore cinese in Birmania, in una intervista ad un giornale locale ha dichiarato che l’attuale situazione “non è assolutamente quello che la Cina vuole vedere” respingendo le voci di un coinvolgimento di Pechino nel colpo di stato, è un dato di fatto che la Cina non può gradire un aumento di peso dell’NLD nel parlamento. Peso che avrebbe permesso un irrobustimento delle norme contro corruzione, una nuova strategia contro il traffico di droghe ed esportazione illegale di giada, legname pregiato che finanzia i militari e le milizie a loro legate.  Certo la Cina non apprezza inoltre la possibilità di un aumento delle norme connesse con la qualità ambientale e sociale e soprattutto le norme sulla trasparenza nella governance degli investimenti internazionali sia nelle infrastrutture, che nelle zone industriali. Settori nei quali la Cina sta investendo miliardi in Birmania.

Le prossime settimane saranno decisive. L’ONU dovrà agire ben oltre le dichiarazioni di condanna. Così pure la UE. Si sa che i paesi nordici, a tutela del loro interessi economici nel paese, sono restii a battere il pugno sul tavolo. I militari stanno impedendo all’inviata speciale dell’ONU Christine Shraner Burgener  di aprire un dialogo tra le parti e le hano vietato di incontrare la Lady, che i militari vogliono tenere fuori dai giochi ora e per il prossimo futuro.  Il sindacato birmano e le organizzazioni democratiche chiedono di non abbassare la guardia e di continuare a tenere viva l’attenzione mondiale sul paese. Forse, e giustamente, sono preoccupati per il possibile intensificarsi della repressione, che potrebbe trasformarsi in una strage, come nel 1988.

Firma la petizione contro il colpo di stato militare in Birmaniahttp://chng.it/GhZQsfNXR2

Per approfondire e conoscere le attività dell’associazione ITALIA BIRMANIA INSIEME visitate il sito: http://www.birmaniademocratica.org
(foto di STR / AFP – Manifestanti fuori dall’ambasciata cinese a Yangon lo scorso 11 febbraio) 
Cecilia Brighi è la Segretaria Generale di ITALIA-BIRMANIA.INSIEME 

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