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Il caso Rocchelli e la libertà di stampa in Europa

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La stampa sgradita, la libertà di documentare negata, la violenza, insieme al disprezzo, si materializzano nella sentenza di secondo grado della Corte d’Appello di Milano con la quale è stato assolto Vitaly Markiv, il 31enne soldato italo-ucraino della Guardia Nazionale, condannato, invece, in primo grado per l’omicidio del fotoreporter pavese Andy Rocchelli, ucciso il 24 maggio 2014 mentre stava documentando quanto accadeva nel Donbass, in Ucraina. Se si cerca l’humus dell’informazione negata ad ogni costo in quelle 70 pagine lo si può trovare, limpidamente descritto dai giudici che, pure, alla fine si sono dovuti adeguare al codice di procedura penale e assolvere l’imputato perché non è stata raggiunta la prova della sua responsabilità personale “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Un dubbio che potevano togliere alcuni testimoni, suoi superiori e colleghi, le cui affermazioni sono risultate viziate e dunque non utilizzabili. Ciò nondimeno le motivazioni della sentenza contengono uno spaccato di quanto sia a rischio la libertà di raccontare ciò che avviene in Europa negli Anni Duemila, nei luoghi dove ci sono guerre feroci seppure poco famose o forse poco famose proprio perché feroci. La morte di Andrea Rocchelli dimostra anche questo.
Scrive la Corte in sentenza “… che, del resto, in quel contesto bellico ben poco rispetto venisse riservato alla stampa e ai civili e che i diritti fondamentali delle persone non fossero adeguatamente salvaguardati emerge dalla lettura dei documenti prodotti dalle parti civili e menzionati nella sentenza appellata: anzitutto il rapporto in data 23.5.2024 che denuncia numerosi (si parla di 300) casi di violenze e intimidazioni nei confronti di giornalisti; inoltre di spegnimenti illegali di trasmissioni televisive, avvenuti in Crimea e nell’Ucraina orientale dal 28 novembre 2013 al 23 maggio 2014 da parte dei filorussi; inoltre il rapporto del Direttore della Divisione Europea e Asia centrale di Human Rights Watch del 6 giugno 2014, che riferisce di bombardamenti provocati da mortai ucraini contro abitazioni civili nel villaggio di Semyonovka, alla periferia di Sloviansk per tre notti consecutive, l’ultima delle quali tra il 22 e il 23 maggio”. Nella sentenza si riporta inoltre parte del Protocollo della Convenzione di Ginevra adottato nel 1977 e nel quale si stabilisce che “i giornalisti che svolgono missioni professionali pericolose nelle zone in conflitto armato siano considerati come persone civili e siano ‘protetti’ in quanto tali”. Benché l’assoluzione del militare abbia scatenato ingiustificate manifestazioni di giubilo da parte della difesa, e non solo, è in questo passaggio che si può riassumere il senso profondo della battaglia tuttora aperta della famiglia Rocchelli e del ruolo dell’altra parte civile, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Insieme stanno cercando giustizia per la morte di Andy Rocchelli nonché l’affermazione del principio di libertà di documentare i fatti, anche fatti di guerre terribili, in luoghi dove i giornalisti debbono trovare spazio e tutela. Sempre. Invece la medesima sentenza d’Appello documenta che non ci fu alcun rispetto per i giornalisti né per la vita umana, anzi lì si sparava contro qualunque cosa si muovesse: “… le dichiarazioni dei giornalisti (sentiti durante il dibattimento ndc) costituiscono un efficace riscontro alla tesi accusatoria, secondo cui corrispondeva proprio alla strategia dei militari appostati a difesa dell’antenna televisiva di difendere strenuamente quella postazione, facendo sì che nella zona circostante nel raggio di uno o due chilometri nessuno potesse avvicinarsi e quindi sparando contro ‘tutto quello che si muoveva’ in quel raggio anche se non si trattava di aggressioni armate”. Rocchelli fu “qualcosa che si muoveva”. La Guardia Nazionale ucraina fu consapevole probabilmente sin dal primo momento della gravità dei fatti. Lo si comprenderà bene qualche tempo dopo, quando Markiv stesso si lascerà sfuggire: “…. nel 2014 è stato fottuto un fotoreporter”. Le motivazioni della sentenza, ripercorrendo il medesimo ragionamento fatto in primo grado, spiegano assai chiaramente che ci fu la volontà di uccidere e che i colpi provenivano dall’armata ucraina. Le parti civili di questo procedimento continueranno a cercare verità e giustizia per il caso specifico, la Fnsi ha chiesto che l’Italia faccia sentire la propria voce per reclamare le prove che mancano, un passo piccolo, difficile, però determinante. Per scrivere fino in fondo questa storia e per aggiungere il tassello che manca alla libertà di informazione. Non è affatto ininfluente ristabilire la vera sequenza dei fatti che hanno riguardato la morte di Andrea Rocchelli, perché lui rappresenta pure tutti i giornalisti che vogliono continuare a raccontare le verità più scomode di questa Europa.


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