In Italia è divenuto ormai evidente un fenomeno che era partito decenni fa da quei luoghi del mondo dove il sistema finanziario-industriale era più avanzato: l’editore puro non esiste più, non “fa” libri, ma vende merci. Essere più attraenti per il lettore odierno, abituato al culto ormai pervasivo delle immagini, ha come conseguenza la scelta e/o la costruzione di autori pieni di appeal, dai bei volti, dalle vite intriganti o dalla fama acquisita precedentemente in altri settori (sport, televisione, cinema, giornalismo, politica…). La qualità? Spesso scadente o appena sufficiente, tanto a sistemare poi ci pensano gli editor, i ghost writer e, soprattutto, gli uomini del marketing e dei circoli de noantri, massmediatico-amicali, che fanno leva sulle pagine culturali dei giornali e sui programmi televisivi.
Sono trascorsi quindici anni dalla prima edizione di un testo importante per capire il destino del libro. Il tempo trascorso non lo ha per nulla invecchiato, anzi rimane un caposaldo a cui ancorare la curiosità di sapere come mai l’Italia è tra i paesi occidentali quello dove si legge di meno. Si possono ricondurre sostanzialmente a due le ragioni dell’importanza di questa Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003 di Gian Carlo Ferretti (Einaudi, pp.517), che da anni si occupa dell’argomento, prima come giornalista e poi come docente universitario. La prima ragione è legata alla novità di un lavoro ampio ed esauriente sull’editoria italiana; la seconda riguarda l’attenzione particolare riservata dall’autore ad una storia del libro che coniugasse insieme rigore critico e divulgazione.
Per anni gli studi in Italia sull’editoria erano stati trascurati e i pochi lavori di un certo livello erano apparsi in modo frammentario e poco visibile su riviste specialistiche, manuali universitari o su volumi collettanei di letteratura. Il libro di Ferretti, colmando un vuoto, offre uno strumento utile e piacevole per capire le trasformazioni della nostra editoria sotto la spinta dei cambiamenti in atto nell’ultimo mezzo secolo. Sotto la crescente modernizzazione è aumentata la base dei lettori grazie alla diminuzione dell’analfabetismo e il libro è divenuto un vero e proprio prodotto industriale, con caratteristiche particolari però, a causa degli stretti legami che si allacciano tra editori, intellettuali, massmedia e apparato politico-istituzionale. Nella prima parte del saggio, I Fondamenti – che abbraccia anche il ventennio fascista – l’autore racconta le vicende dei cosiddetti editori protagonisti, Arnoldo Mondatori, Angelo Rizzoli, Valentino Bompiani e Giulio Einaudi, con le loro peculiarità e i loro stretti legami con la vita culturale e politica del paese. Così di fronte ad un Einaudi, editore volto al presente e “alla severità degli studi” si colloca un Mondadori che, rinunciando all’avanguardia e allo sperimentalismo, fa del libro popolare l’idea cardine del suo impero.
Le altre quattro parti del saggio hanno periodizzazione e caratteristiche proprie che l’autore individua a proprio arbitrio sulla base dei mutamenti sociali del paese: dall’immediato dopoguerra de La transizione agli anni del boom (1958-71); dal dominio de L’apparato (1971-1983) agli anni de L’ universo Multimediale (1983-2003). Di un lavoro così vasto e complesso si possono segnalare – in questa sede – solo alcuni aspetti; quelli che più significativamente mutano il quadro del lavoro editoriale. Nel 1958 esce il romanzo di uno sconosciuto, Il Gattopardo, che – dopo il rifiuto da parte di grandi case editrici – viene pubblicato da un giovane editore, Feltrinelli. Il clamore suscitato dal successo del libro di Tomasi di Lampedusa apre una discussione sulle scelte editoriali, che segna da quel momento il passaggio da una vecchia ad una nuova fase dell’editoria italiana, “da processi ancora artigianali ad una sempre più accentuata programmazione.” Tra il 1969 e il 1971 una gravissima crisi colpisce due fra le case più propositive del paese, Il Saggiatore e la Bompiani. Da quegli anni tutto cambia, “il capitale extraeditoriale comincia ad indirizzare i suoi interessi verso un mercato librario, dalle grandi potenzialità, con due prospettive fondamentali: il profitto economico e il controllo ideologico del consenso.” E’ l’inizio di quel processo inarrestabile di controllo dei mezzi di comunicazione di massa in cui giornali, reti televisive e case cinematografiche entrano a far parte spesso di un’unica proprietà. Anche a costo di scontri durissimi, come ha insegnato la vicenda per il controllo della Mondadori con il duello Berlusconi-De Benedetti.
Ci sarebbe ancora tanto da dire sui protagonisti delle scelte editoriali, sugli agenti letterari, sugli scrittori, sulle tante case editrici che hanno fatto la storia culturale del nostro paese, sulle tendenze del mercato del libro, sulla vivacità dei piccoli e medi editori. Lo spazio è tiranno e tuttavia un ultimo aspetto va esaminato. La scelta di Ferretti di privilegiare la storia della nostra industria editoriale attraverso il discrimine della letteratura – “a proposito della quale, più stretto e diretto e pregnante appare il nesso tra le politiche d’autore e gli interessi del mercato degli editori, le fortune critiche e di pubblico, oltre alle istituzioni letterarie più o meno ufficiali” – si innesta sull’idea portante di non cadere, da una parte, nell’elitarismo di una storia solo di cultura e, dall’altro, di evitare la trappola del dominio dell’editoria di mercato.
La discriminante, per l’autore, non passa tra cultura e mercato, ma nel modo in cui questi due aspetti interagiscono all’interno delle scelte editoriali delle varie case editrici e “perciò nelle differenze tra le loro rispettive identità.” Identità che si formano e forgiano, nel corso degli anni, per scelte di mercato, per cultura, politica e gusti personali degli editori e di cui i cataloghi – esaminati dettagliatamente da Ferretti nel corso degli anni – rappresentano la chiave di volta per entrare nello spirito di una casa editrice. Scrisse anni fa Roberto Calasso: “Esaminare il catalogo di un editore è l’unico modo per giudicare un buon editore: la scelta dei titoli, ma anche la sequenza in cui vengono proposti e la tenuta nel tempo di queste scelte, sono gli unici criteri possibili per valutare il suo operato.” Avvincente come un romanzo, il saggio di Ferretti è indispensabile per tutti coloro che amano leggere, tuttavia, essendo trascorso tempo dalla pubblicazione della sua Storia, a noi sembra che la situazione sia peggiorata: il corno della questione si è spostato tutto a favore del mercato. Pecunia non olet. Il denaro è (quasi) tutto.