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Franco Moretti: i romanzi al cannocchiale

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Franco Moretti ha oggi settanta anni (Sondrio 1950), e dopo aver insegnato in diverse università italiane e straniere è attualmente docente emerito presso la Stanford University. E’ divenuto famoso sullo scenario mondiale con saggi che si occupano di romanzesco indagandone e comparandone su scala planetaria genesi, forme e modelli. Opere mondo: saggio sulla forma epica dal Faust a Cent’anni di solitudine (1994-2003), Atlante del romanzo europeo (1997)Romanzo di formazione, A una certa distanza (2013), Il borghese. Tra storia e letteratura (2017), Un paese lontano, Cinque lezioni sulla cultura americana (2019) sono alcuni dei suoi ultimi lavori tradotti in molti paesiQuindici anni fa esatti uscì La letteratura vista da lontano (Einaudi, p.145,2005) che offriva al lettore curioso e agli studiosi una prospettiva diversa e insolita, destinata a suscitare riflessioni e discussioni. Moretti partiva dall’idea che si potesse applicare agli studi letterari il metodo delle scienze, ancorando  alla quantificazione, ai dati, più che all’esame dei testi, l’analisi sul romanzo. L’allontanamento ne era il principio ispiratore: “la distanza non è però un ostacolo alla conoscenza, bensì una sua forma specifica. La distanza fa vedere meno dettagli: ma fa capire meglio i rapporti, i pattern, le forme.”

Grafici, la prima delle tre parti del saggio apre il discorso sulla volontà dell’autore di delineare una storia letteraria più razionale. Evento, ciclo e lunga durata (da Braudel) sono le categorie utilizzate per esaminare le modificazioni del romanzo nel corso del tempo. L’autore parte dall’affermazione del romanzo in Inghilterra, nel primo quarto del ‘700, per poi estendere lo sguardo ad altri paesi in una comparazione che si estende ad epoche e latitudini diverse. Con l’ausilio di grafici, tabelle, diagrammi, Moretti si sofferma in particolare sul ciclo, tempo di mezzo a cui appartiene il genere (“sorta di Giano morfologico con una faccia rivolta alla storia e l’altra alla forma”), che per lui è stato sempre sostanzialmente trascurato dagli studiosi. Il genere per venti, trenta anni rimane al suo posto di dominio per poi essere sostituito da un altro: agli iniziali generi epistolare, gotico e storico, se ne sostituiscono decine di altri, da quello sentimentale al village, dal romanzo militare a quello di formazione, dal fantasy al decadente e così via fino a toccare quarantaquattro generi in centosessanta anni. Questa varietà dimostra che il romanzo è l’insieme dei generi, mentre le grandi teorie del romanzo lo hanno sempre ridotto “a una sola forma di base (il realismo, il romance, il dialogismo, il meta-romanzo…)” che gli ha conferito dignità letteraria ma ha fatto sparire il 90% dei libri.

La seconda parte, Le carte, è costruita da Moretti con l’ausilio delle mappe geografiche e partendo dai “racconti del villaggio” – in particolare da Our Village di Mary Mitford, cinque volumi scritti tra il 1824 e il 1832 – egli giunge ad interrogarsi sul significato ideologico dell’uso dello spazio in letteratura. Lo spazio vi è rappresentato non in modo lineare ma circolare, come al tempo dei campi aperti, quando non vi era l’ostacolo delle diagrammatiche linee delle enclosures, le recinzioni, che trasformarono profondamente la campagna e la società inglesi. I personaggi si muovono a compasso fino a due tre chilometri dal villaggio, per vie campestri, prati e boschi addomesticati dal lavoro dell’uomo, senza mai veramente incontrare ostacoli, sia naturali che umani. Non ci sono recinzioni ma nemmeno fatica e  disagio. Un paesaggio da idillio, stilizzato e ingentilito dove è assente completamente il duro scontro di classe che accompagna il processo di privatizzazione del mondo rurale, in una ricostruzione immaginaria e travestita della società inglese di quegli anni.

Il capitolo conclusivo, Gli alberi, parte dalle teorie evoluzioniste di Darwin e pone al centro  l’albero della conoscenza. Nella sua rappresentazione concettuale le biforcazioni dei rami rappresentano le divergenze che nel corso dei secoli le specie viventi hanno preso differenziandosi l’una dall’altra, per selezionarsi o, inadatte, per estinguersi. Nel romanzo accade la stessa cosa: la lotta per la sopravvivenza del più forte è decisa dalla forma attraverso le scelte del pubblico. Ad esempio, nel poliziesco inglese di fine ‘800 sono gli indizi disseminati da Conan Doyle nei suoi romanzi a garantirgli la sopravvivenza sui suoi rivali. Gli indizi come geni. Il mercato come la natura. Dopo l’albero grafico sul poliziesco un altro è costruito da Moretti su “quella grande tecnica narrativa  che va sotto il nome di discorso indiretto libero.” L’evoluzione (i rami con le loro biforcazioni, divergenze e convergenze) che esso ha avuto nel corso di duecento anni ci dimostra la varietà e la ricchezza di questo modo di scrivere e la capacità costruttiva di autori come Austen, Flaubert, Verga, Maran, Zola, Woolf, Proust, Mann o i latino-americani de “i romanzi del dittatore”, che hanno potuto rappresentare grazie al discorso indiretto libero distacco, emozione o socializzazione; o addirittura dramma e forte intensità quando, invece, esso ha incontrato il dialogismo come in Dostoevskij o in Joyce. Cosa dire in conclusione? Forse si potrebbe rispondere come fa l’autore nel corso del suo saggio e cioè sollevando ininterrottamente altre domande e dubbi. Il libro è affascinante ma forte è anche lo smarrimento davanti ad un’idea di letteratura fatta praticamente di numeri. Controverso ma intrigante.


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