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Franco Marini: una vita dalla parte degli ultimi 

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Di Franco Marini, scomparso ieri all’età si ottantasette anni, specie i più giovani conservano soprattutto il ricordo di una spiacevole vicenda. Era l’aprile del 2013 quando lo storico dirigente sindacale della CISL, nonché ex segretario dei Popolari, era stato scelto da Bersani come candidato alla Presidenza della Repubblica, in accordo con i centristi di Casini e il centrodestra guidato all’epoca da Berlusconi. I 5 Stelle calarono dal blog la figura egregia di Stefano Rodotà e il PD andò in confusione. Confesso, per onestà intellettuale, che anch’io, all’epoca, ero per Rodotà o, in alternativa, per Prodi, anche se oggi mi sono più chiare le ragioni di Bersani, il suo desiderio di eleggere il Capo dello Stato e di comune accordo con gli avversari, come previsto dalla Costituzione, trasformando una legislatura oggettivamente sgangherata in una fase se non costituente come comunque costruttiva, all’insegna dell’inclusione di un soggetto bizzarro come il M5S all’interno delle corrette dinamiche parlamentari.
Andò come andò, con Marini bruciato dalle affermazioni di chi lo bocciò senza appello con motivazioni ridicole e irrispettose, Prodi impallinato dai centouno, che in realtà erano almeno centoventi, e Rodotà trattato in maniera indegna da chi si permise di offendere un galantuomo e, soprattutto, uno dei più grandi giuristi italiani.
Franco Marini, tuttavia, è stato molto di più, al di là dei suoi ruoli, dei suoi incarichi, del suo indubbio prestigio istituzionale, dell’onore di presiedere il Senato nella breve e sfortunata Quindicesima legislatura e di tutto ciò che è stato detto e scritto in queste ore. Marini era, soprattutto, un uomo del secolo scorso, nell’accezione più nobile del termine, un antico combattente reduce da mille battaglie, un lupo marsicano dai modi bruschi, dal carattere burbero, dalle idee chiare e dotato della capacità di porsi in ascolto degli altri, di prendere per mano i lavoratori, di camminare insieme ai più deboli, di non abbandonare mai a se stessi coloro che erano nati indietro e di voler bene davvero a chi aveva bisogno d’aiuto e di giustizia sociale. Credeva nei sindacati, nei partiti, nella politica come mezzo di risoluzione dei problemi, nella collettività come strumento e fine ultimo dell’azione dei decisori, in un’idea di comunità che oggi s’è perduta, nella costruzione di percorsi innovativi attraverso il principio dell’inclusione, senza mai compiere strappi e levigando in ogni circostanza tutte le pietre.
Franco Marini ha amato la vita, il suo Abruzzo, la pipa, il popolarismo di Donat-Cattin, di cui ereditò la corrente Forze Nuove, e fu maestro di molti e allievo dei più grandi, su tutti l’indimenticabile Pierre Carniti.
Sembrava un personaggio uscito dalla penna di Silone, uno che sapeva accettare vittorie e sconfitte senza mai far drammi, il perfetto interprete di una sorta di verismo post-bellico, e nei suoi occhi vivaci era sempre presente lo stupore di chi ce l’aveva fatta, la grinta di un lottatore, la dolcezza di una persona perbene che sapeva farsi amare senza concedere quasi nulla all’interlocutore, se non la sua profonda onestà intellettuale. Fu un netto avversario di Prodi e del progetto ulivista, non si riconobbe mai fino in fondo nella nuova stagione, credeva nel proporzionale e nelle virtù del confronto,  regolato da un codice d’onore condiviso da entrambe le parti. Nel bene e nel male, il vecchio leone ha combattuto fino alla fine senza arrendersi mai, sognando in grande e procedendo per gradi, con la caparbietà propria della sua terra natale e il desiderio di elevare, giorno dopo giorno, le classi subalterne.
Ora riposa e noi lo immaginiamo lassù, con un filo di fumo che esce dalla pipa e la grinta che non lo ha mai abbandonato, nemmeno nella sfida al Covid dalla quale, purtroppo, è uscito sconfitto

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