E’ probabile che abbiano ragione quegli osservatori che attribuiscono alla globalizzazione e ai suoi contraddittori effetti (riduzione miseria-concentrazione ricchezza-aumento inquietudini sociali) il crescente frazionamento degli interessi di gruppo e quindi delle loro espressioni politiche in gran parte del mondo. In America Latina, nel suo permanente tempo del gerundio (emergendo, condizione dei paesi emergenti), risulta evidente. Clamoroso in Equador, dove il frazionamento del voto al primo turno elettorale del 7 febbraio scorso (in pista ben 15 candidati di altrettanti partiti, un record!), ha creato una duplice impasse, elettorale e istituzionale, che paralizza l’esito del voto.
Il più votato, Andrés Arauz, patrocinato dall’ex presidente populista di sinistra Rafael Correa, con oltre 3 milioni di suffragi si è assicurato il primo posto. Senza tuttavia ottenere la massima magistratura dello stato, per la quale in prima istanza è richiesta la maggioranza del 50 per cento più un voto. E’ necessario andare al secondo turno, previsto per il prossimo l’11 aprile. Ma non si riesce ancora a certificare in via definitiva chi abbia il diritto di disputargli la vittoria definitiva. Dietro di lui, si disputano il secondo posto il conservatore Guillermo Lasso, al quale lo scrutinio attribuisce 1,8 milioni di preferenze, e il leader delle popolazioni originarie, Yaku Perez, con soltanto 32mila 600 voti di meno.
Su 10 milioni di schede, questa minima differenza ha scatenato tra i due una disputa che ha conosciuto momenti diversi (prima entrambi d’accordo per un riconteggio dei voti, poi Lasso ha cambiato opinione e Perez grida all’imbroglio, facendo scendere in piazza i suoi sostenitori indios del partito Pachakutic) ora coinvolge anche la Commissione Elettorale Nazionale (CNE) e la Procura Generale della Repubblica, a loro volta in aperto contrasto su criteri e modalità con cui decidere a chi riconoscere l’accesso al ballotaggio. Quest’ultima chiede gli atti elettronici della votazione per una verifica; la Commissione rivendica le proprie prerogative e denuncia l’illegalità dell’intervento.
C’è il rischio concreto di gravi incidenti, perché gli indios sono già mobilitati nelle strade, persuasi di subire un’ennesima prevaricazione dai bianchi. Il banchiere Lasso, espressione della borghesia imprenditrice della costa, è un bianco, così come il populista Arauz. Dunque, nella visione che ne hanno Yaku Perez e i suoi (che considera estranei ai loro valori etico-culturali anche i meticci, sebbene non propriamente bianchi e comunque maggioranza nel paese), ciò spiegherebbe il ripensamento di Lasso circa il riconteggio e la successiva intesa con il candidato del controverso Correa, intenzionati ad escluderli pur se tra loro avversari.