Emergenza Covid, economica, occupazionale, sociale. Mario Draghi, presidente incaricato, sollecita «risposte all’altezza della situazione». Lancia un appello perché «emerga unità» prima di tutto dal Parlamento al quale si rivolge «con grande rispetto».
Si muove con grande cautela. Ha parlato a lungo con Sergio Mattarella al Quirinale, è uscito dal suo studio come presidente del Consiglio incaricato. Vuole formare un governo di larghe intese. È un tecnico, un grande tecnico esterno alla politica. Conosce i tanti “niet” contro di lui. Per anni grillini e leghisti lo hanno attaccato come l’”uomo nero”, il rappresentante dei poteri forti anti popolari, delle élite europee ed italiane. Nel 2018 Di Maio e Salvini spararono bordate micidiali contro l’allora presidente della Bce visto come guardiano del potere tecnocratico di Bruxelles contro il Conte uno, il governo della rivolta populista grillo-leghista.
Ma il 2021 non è il 2018, le mirabolanti promesse del governo anti sistema sono finite nella polvere, M5S e Lega sono entrati nel sistema, Salvini ha staccato clamorosamente la spina del governo Conte uno e ha divorziato da Di Maio.
L’«unità» per un governo «all’altezza della situazione» invocata dal presidente incaricato sta spaccando tutto il sistema politico italiano. I cinquestelle sbandano. Di Battista pronuncia un perentorio no, ma poi Grillo socchiude la porta a un’intesa (se sarà a «difesa di tutti i provvedimenti» del governo Conte due). Altrettanto fa Di Maio (il M5S ha «il dovere di partecipare, ascoltare»).
Giuseppe Conte sembra aver ricompattato i grillini. Il presidente del Consiglio dimissionario ha tenuto una singolare conferenza stampa su un tavolino davanti a Palazzo Chigi: non sarà «di ostacolo alla formazione» di un nuovo governo politico.
Il centro-destra si frantuma, va diviso alle consultazioni del presidente incaricato. Berlusconi intende appoggiarlo: è «una personalità di alto profilo istituzionale». Salvini sembra prendere le distanze («Draghi dovrà scegliere tra Grillo e la Lega») mentre Giorgetti, ala governativa del Carroccio, preme per il sì e per una conversione europeista («Draghi è un fuoriclasse, come Cristiano Ronaldo, non può stare in panchina»). Giorgia Meloni è su posizioni più dure, è orientata a un secco no per sottrarre voti sovranisti alla Lega.
Anche il centro-sinistra è nei guai. Renzi vuole Draghi: «Lo sognavo da tempo». Le piccole formazioni centriste sono suoi ferventi tifosi. Bruno Tabacci ricorre a un parallelo calcistico: «Sarebbe come avere uno come Pelè e non farlo giocare». Gran parte del Pd lo vuole sostenere, in una analoga situazione è la sinistra di Leu anche se i dubbi sono tanti. Zingaretti e Speranza ricordano un altro governo tecnico di grande coalizione, quello guidato dall’economista Mario Monti: ne uscirono fuori con le ossa rotte. Quell’esecutivo lacrime e sangue aprì le porte al trionfo delle forze populiste.
Tuttavia mancano le alternative politiche. Dopo lo sgambetto di Renzi al governo Conte due, quello giallo-rosso, c’è solo la carta Draghi per sbarrare la strada alle elezioni politiche anticipate temute dalla maggioranza dei parlamentari cinquestelle e del centro-sinistra perché difficilmente sarebbero rieletti.
Draghi è un tecnico capace e coraggioso: nel 2012 fermò la colossale speculazione finanziaria internazionale contro la moneta unica europea: «La Bce è pronta a fare qualunque cosa per preservare l’euro». Vinse la scommessa: salvò l’euro e l’Italia dal fallimento con una massiccia politica d’acquisto dei titoli del debito pubblico, una scelta duramente attaccata dai rigoristi tedeschi e dei paesi del nord Europa. Lo scorso marzo, ormai fuori della Bce, dalla sua “cassetta degli attrezzi” tirò fuori la proposta di combattere il Covid con un massiccio ricorso al debito pubblico, da garantire con un impegno comune europeo. La proposta prima sollevò la rivolta della Germania e delle nazioni ricche dell’Europa settentrionale, poi Angela Merkel fece marcia indietro: gli diede ragione la scorsa estate anche perché la pandemia si diffuse in tutta l’Unione europea.
Draghi spezza e ricompone gli schieramenti. Forse finirà anche la Terza Repubblica, quella inaugurata nel 2018 con la vittoria alle politiche del tandem populista grillo-leghista. Il presidente incaricato potrebbe azzerare e ridisegnate tutto il quadro politico italiano come accadde in Francia nel 2017, quando Emmanuel Macron divenne presidente della Repubblica battendo la populista Marine Le Pen. Draghi, al contrario di Monti, è un economista con una visione politica, non è un semplice tecnico. Il programma di governo avrebbe un’anima di sinistra: a marzo ha sollecitato a contrarre “debito buono” per sostenere il reddito dei disoccupati ma anche per effettuare investimenti in modo da rilanciare strutturalmente l’occupazione.
«Molti rispettano il distintivo, tutti la pistola», dice Robert De Niro, ispettore di polizia, nel film “La doppia identità”. Il presidente incaricato ha il distintivo e una doppia pistola: l’emergenza sanitaria-economica e lo spettro del voto anticipato.