80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Comunità chassidica e purezza concentrazionaria: ‘Unorthodox’, miniserie Netflix

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Una delle produzioni Netflix più riuscite del 2020 è stata sicuramente la miniserie Unorthodox, che segue le vicende di Esty, una diciannovenne che fa parte della comunità ebraica chassidica di Williamsburg, a New York.

La serie ci introduce in questo piccolo mondo ultraortodosso, dove tutto è condiviso e non esiste il concetto di privacy. I ruoli e gli spazi sono rigorosamente divisi in base al genere: le donne si occupano della gestione della casa mentre gli uomini della sfera pubblica e sociale. Per questo le prime non vengono istruite, perché il loro unico compito è quello di prendersi cura del marito e mettere al mondo figli che reintegrino la perdita dei 6 milioni di ebrei sterminati durante l’Olocausto. È una vita rigida anche per gli uomini che devono dedicarsi totalmente alla religione e alla vita di comunità, ma almeno a loro è permesso lavorare, uscire senza dover rendere conto e soprattutto cantare e suonare gli strumenti, cosa invece vietata alle donne. Ed è proprio la musica la via di liberazione per Esty, la quale un giorno, infelice e stanca dei continui rimproveri da parte della suocera (perché non adempie ai suoi doveri coniugali sessuali) decide di scappare a Berlino. Qui entrerà in contatto casualmente con un gruppo di giovani musicisti della Filarmonica, grazie ai quali ritroverà la gioia per la vita. La musica per lei infatti è linfa vitale, il segreto che condivide con l’amata nonna.

Ma come è facile immaginare il suo percorso di emancipazione non sarà semplice e così si ritroverà il marito e il cugino Moishe alle calcagna. Come le dice la madre c’è un Moishe in tutte le famiglie. È la mano armata dell’ordine patriarcale, in senso letterale non simbolico perché Moishe ha una pistola che può essere utilizzata in due modi differenti: minacciare Esty per farla tornare indietro o nel caso più estremo convincerla a suicidarsi per la vergogna e lo stigma sociale.

La protagonista è interpretata da Shira Haas, un’attrice israeliana di 25 anni dalla fisicità atipica, quasi adolescenziale. Supera a malapena un metro e cinquanta ed è molto esile. Una fragilità apparente che invece contrasta con la sua fierezza granitica, che si manifesta soprattutto attraverso lo sguardo e la postura. Shira Haas è perfetta per interpretare un personaggio così sfaccettato che ha avuto una vita difficile, non diversa da quella di altre sue coetanee appartenenti alla comunità ebraica ultraortodossa, che si sposano a 17, 18 con ragazzi sconosciuti, senza sapere nulla di sesso e senza aver mai dato nemmeno un bacio. Adolescenti che non potendo guardare la televisione e non avendo accesso a internet non hanno modelli di riferimento e si fidano soltanto di quello che raccontano le loro madri, le zie e le altre donne sposate. Del resto la serie racconta una storia vera, quella di Deborah Feldman, descritta nel suo bestseller Unorthodox: The Scandalous Rejection of My Hasidic Roots. Un libro che sicuramente è diventato un modello di cambiamento per tutte quelle donne, giovani e non solo, che per qualsiasi motivo, si sono trovate prigioniere di una vita che non hanno scelto.


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