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Come farà l’Italia a uscire dalla “Bonus Economy”…

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Il 12 febbraio si è svolto il terzo incontro online organizzato da Fondazione Circolo Rosselli e Censis per discutere delle conseguenze sociali della pandemia. Il 2020, con la pandemia e i susseguenti provvedimenti di ristoro, ha avviato l’era della “bonus economy”, come l’ha ribattezzata il Censis nel suo ultimo rapporto annuale sulla situazione sociale italiana. Questo è stato  l’argomento del terzo incontro online della serie realizzata da Fondazione Circolo Rosselli e Censis per affrontare da vari punti di vista il contesto sociale che il Covid-19 ha aperto.

“Siamo arrivati a contare 78 dispositivi di bonus distribuiti in una pletora di decreti: dodici sulla casa, altrettanti su figli e famiglia e via dicendo per lavoro autonomo (e questa è stata una novità), lavoro dipendente, imprese, occupazione, scuola, mobilità. Lo Stato ha tentato di puntellare un sistema traballante –  commenta Marco Baldi, responsabile area Economia e territorio del Censis – , la platea dei beneficiari ha superato i 15 milioni di cittadini per un impegno di circa 33 milioni di euro. Come se un quarto della popolazione italiana avesse ricevuto 2000 euro. Il problema è: ma tutti gli italiani erano al corrente di poter accedere a un beneficio? Una nostra indagine insieme a Fondazione Snam ha mostrato che il bonus ‘baby sitter’ era sconosciuto al 30% degli intervistati, quello ‘vacanze’ al 20% della popolazione”.

Per lo stesso Censis, la bonus economy piace molto di più ai giovani che non agli anziani (una differenza del 20% nell’apprezzamento). “Per le generazioni adulte e anziane – spiega Baldi – sono provvedimenti che generano dipendenza e rischiano di creare debito pubblico fuori controllo. I giovani sono più spalmati sul presente”. Ma allora come si esce da questo tipo di logica? Per Baldi, “Occorrono tre tipi di risposta. Innanzitutto riunificando le tante misure di aiuto, basandole su una soglia di indicatore Isee, con discernimento e semplicità di accesso. Sarà poi necessaria una riforma fiscale che riduca i divari fra garantiti e non garantiti. E infine occorre un grande piano di formazione, con il digitale al centro”.

“Ripristinare la sanità nel territorio, abbattere la dispersione scolastica, affrontare il differenziale di infrastrutture, materiali e immateriali, fra nord e sud. Sono queste le priorità che l’Italia dovrà affrontare con i fondi del Next Generation Eu. Adesso, ovviamente, priorità delle priorità, è la campagna vaccinale –  sottolinea il presidente della Fondazione Circolo Rosselli, Valdo Spini –  siamo in una situazione diversa da quella del Piano Marshall. Allora si ricostruiva un’economia distrutta dalla guerra. Qui si tratta di impedire che le attività esistenti debbano chiudere. La fiducia nella possibilità di riprendere il tessuto di scambi e di consumo, senza tenere i soldi sui conti correnti, dipenderà da come il Paese si sentirà guidato. Ce la farà l’Italia a uscire dalla logica del bonus e ad affrontare la ripresa? Sì, se i fondi europei saranno utilizzati per una profonda trasformazione, ma con la capacità di continuare ad assicurare la coesione sociale”.

All’incontro si è parlato poi di scuola, con Antonella Di Bartolo, definita “preside di strada” dell’istituto Sperone-Pertini di Palermo. “Il Censis parla di ‘scuola degli esclusi’ – ha rilevato – e questo è il risultato di quarant’anni di disinvestimento in formazione e ricerca. Un’istruzione colabrodo che non solo perde ragazze e ragazzi ma che dopo aver formato le energie migliori le consegna a Paesi stranieri”. Ha poi suggerito alcune azioni urgenti: “Un investimento anche nella scuola per la fascia 0-6 che aiuti a contrastare la marginalità del lavoro femminile; interventi sull’edilizia scolastica e sulle mense di prossimità, piccole azioni di sistema che vanno a vantaggio del sistema economico; un reale obbligo di istruzione che corrisponda a un obbligo formativo. E, infine, lavorare sui patti educativi di comunità per creare una corresponsabilità educativa”.

Il discorso si è poi spostato sul fronte sanità, il più esposto in questi mesi. Ad affrontarlo, Federico Gelli, coordinatore dell’Unità sanitaria di crisi della AUSL Toscana Centro per l’emergenza pandemica in corso. Il suo discorso è partito da lontano, dal “Cronico sottofinanziamento della nostra sanità, con tagli che si sono susseguiti continuamente per venti anni”. Per poi passare alle criticità delle modifiche del titolo V della Costituzione che hanno dato autonomia alle regioni in campo salute, “polverizzando l’unità nazionale dal punto di vista sanitario e creando di fatto ventuno sistemi sanitari, uno per ogni regione più la provincia autonoma di Bolzano. Con le regioni del sud i cui cittadini sono costretti ad andare al nord anche per prestazioni sanitarie banali. E il conseguente impoverimento ulteriore delle regioni meridionali e l’arricchimento di quelle del nord”.

Gelli ha elencato una serie di errori, alcuni a livello europeo, altri nazionali e regionali: “Il primo è stato quello dell’Unione europea, sbeffeggiata dalle multinazionali farmaceutiche nella tempistica e nella quantità delle dosi dei vaccini. Venendo all’Italia, possibile che sulle prime 1,3 milioni di dosi somministrate, quasi quattrocentomila siano andate a personale non sanitario e non a rischio? Tutta una serie di errori che vanno denunciati per non ripeterli: non ce lo possiamo più permettere. E, ancora, il ruolo dei medici di medicina generale: se ci sono problemi, vanno chiariti. Bisogna mettersi attorno a un tavolo e ripensare il ruolo della medicina convenzionata”. È vero che, ha sottolineato ancora Gelli, “a livello locale alcuni si sono dimostrati più pronti. Sul territorio, qui in Toscana stiamo cercando di dare una risposa assistenziale ai nostri pazienti, posti letto intensivi o ordinari. Certo che l’attività ordinaria si è, purtroppo, ridotta”.

Il dibattito si è spostato poi sulla modifica alla struttura delle città provocata dalla pandemia. Ad affrontare il tema, Mariella Zoppi, professoressa emerita di Architettura dell’Università di Firenze. “Già prima del Covid era in atto un processo di fuoriuscita di tutta una serie di funzioni dai centri storici. Via i tribunali, via gli ospedali, via i cinema. Con i rispettivi indotti. Al vuoto che tutti questi settori hanno lasciato, è corrisposto un vuoto di popolazione. Gli affitti temporanei ai turisti hanno preso il sopravvento, con un primato della rendita. La pandemia che ha fermato il turismo ha lasciato i centri, già senza abitanti, anche senza turisti. Che cosa sopravviverà nelle nostre città? Ci saranno tante attività che chiuderanno. Bisognerà fare attenzione che non sopravvivano solo attività che hanno una base vischiosa, poco limpida. La domanda che bisogna farsi è: quale modello pensiamo per i nostri centri storici? Che obiettivi ci sapremo dare a lunga scadenza?”.

La prossima settimana, giovedì 18 febbraio alle 17 l’ultimo webinar della serie, incentrato sul tema della ripartenza, sulla vitalità e la capacità di rimettersi in moto della società italiana: “Quello che resterà dopo lo stato d’eccezione”, il titolo dell’incontro.

Interverranno: Giuseppe De Rita, presidente del Censis; l’economista Paolo BarattaRoberto Castaldi, direttore Cesue ed Euractiv Italia; Salvatore Rossi, presidente di Telecom Italia; Lucilla Spini, bioantropologa dello IUBS Working Group on Gender Equality; Andrea Puccetti, imprenditore, della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli.

L’incontro si può seguire sulla piattaforma Zoom (https://us02web.zoom.us/j/327598981) e sulle pagine Facebook della Fondazione Fratelli Rosselli e del Censis.


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