Il felpato colpo di stato in Birmania, dovrebbe essere di monito soprattutto per coloro che hanno criticato l’ inconsistenza politica della leader birmana Aung San Suu kyi, colpevole di essere una alleata di ferro dei militari, quei militari che l’avevano tenuta agli arresti domiciliari per ben 15 anni e che poi le hanno concesso un potere dimezzato e compromissorio, ed infine che l’hanno nuovamente rinchiusa.
Ebbene gli avvenimenti di questi due giorni hanno mostrato come fosse sbagliata la valutazione superficiale su una leader politica che, pur avendo commesso molti sbagli, soprattutto sulla vicenda Rohingya, ha cercato di superare i mille ostacoli e trabocchetti, spesso invisibili dall’esterno, che sono stati posti sul suo lavoro dai militari. Quei militari che oggi l’hanno costretta al silenzio. Quelli che hanno sciolto prima dell’insediamento, il nuovo parlamento democraticamente eletto.
Oggi gli artefici di quel felpato colpo di stato, da tempo congegnato con accuratezza e attuato senza sparare neanche un colpo, tentano di mascherare la profonda lesione alle regole fondamentali della democrazia, inscenando una finta libertà di movimento, di parola e persino di politica.
I militari hanno usato la loro costituzione, pianificata anche per consentire loro di spodestare a piacimento il Presidente della Repubblica, di sconfessare le elezioni, ancorchè monitorate da osservatori internazionali mandando tutto il nuovo parlamento.
Eppure già questa sera nonostante l’apparente tranquillità gli abitanti di Yangon sono usciti sui balconi sbattendo pentole e altri attrezzi per protesta contro il colpo di stato. Una libertà, assaporata dopo 50 anni di dittatura, che non sarà più tanto facilmente comprimibile.
Il piano? Sciogliere i lacci e i laccioli che i cinque anni di governo dell’NLD, pur con tutti i limiti avevano messo intorno alle fameliche esigenze di potere e di profitto dei militari e delle loro potentissime imprese. Nel corso di questi cinque anni sono state approvate moltissime leggi che miravano ad adeguare il paese agli standard internazionali di trasparenza, anticorruzione, rispetto delle norme ambientali e sociali di fondo. Norme che sono un inciampo per l’attuazione dei grandi progetti e opere infrastrutturali che la Cina deve poter sviluppare in Birmania per garantirsi uno sbocco al mare e Sostenere lo Yunnan. Altro che via della seta! Sarà una via dolorosa per le popolazioni e l’ambiente, ma piena di grandi fortune per le tasche dei militari . Così il legame tra i militari e la Cina rispondono, anche, alla necessità di tagliar corto con tutte le procedure di partecipazione e consultazione democratica, di trasparenza e “accountability” importate dall’occidente. Se si leggesse il report della Fact Finding Mission dell’ONU sugli interessi economici delle imprese militari, ci si renderebbe conto che una Lady più forte sarebbe un ulteriore elemento di disturbo. Già oggi, con l’adesione all’EITI (Extractive Industries Transparency Initiative ) il governo stava corrodendo le casseforti dei militari. E poi c’è il grande gioco delle armi che lega strettamente il Tatmadaw, così viene chiamato l’esercito birmano, sia alla Cina che alla Russia. Partner privilegiati e paladini dei militari birmani anche al Consiglio di sicurezza. Le armi, strumento chiave nella lotta alle organizzazioni etniche armate, importate da Cina Russia, Corea del nord, Israele, Ucraina e persino Giordania. Anche se è un segreto di Pulcinella, che la Cina con una mano fornisce armi all’esercito e con l’altra foraggia le organizzazioni etniche armate, in un gioco delle parti noto a tutti o quasi. Se solo si volesse aprire il vaso di pandora del conflitto tra esercito birmano e Rohingya e tra esercito birmano e Arakan Army, se ne scoprirebbero delle belle. E questo è uno dei tanti esempi di strapotere dell’esercito, rispetto al quale, la leader birmana ha potuto fare ben poco se non cercare l’impossibile con i tentativi di modifica della costituzione.
Allora, se fino ad adesso, in fondo il potere dei generali aveva resistito, perché questo golpe? Perché come diceva Andreotti: “il potere logora chi non ce l’ha”. E con le elezioni di novembre il partito dei militari ha ottenuto miseri 33 seggi, mentre l’NLD ne ha conquistati ben 396, ovvero l’83% dei seggi disponibili, vincendo anche nella maggior parte degli Stati etnici. Una sconfitta, quella della destra militare nazionalista, che non poteva essere riconosciuta. Una vergogna che avrebbe relegato i militari, ovvero quel 25% obbligatorio di nominati nel parlamento, così come sancito dalla costituzione, a mere vestali della loro costituzione, che però potrebbe essere erosa silenziosamente, attraverso l’applicazione degli accordi di pace, guarda caso, concordati con il consenso degli stessi militari che prevedevano l’attuazione ad esempio del federalismo, in alternativa ad uno stato fortemente centralizzato. Non se ne erano accorti? Può darsi. Così non è difficile capire quanto lo smacco sul piano politico, unito a quello sul piano economico e finanziario, che scaturirebbe dalle perdite causate dai nuovi obblighi internazionali, abbia potuto portare i militari ad attuare un colpo di stato, mascherato con la scusa di attuare l’ ordine costituzionale. Così i militari cercano di stupire. Aperti, democratici ma inflessibili.
Chi pensava che avrebbero ripetuto i massacri del 1988 si è sbagliato. Ora il piano prevede che si riconvochino, con calma le elezioni, ma alle loro condizioni. Fra un anno? Forse. Nel frattempo tutto deve sembrare scorrere con tranquillità. Per loro non è un colpo di stato, ma al contrario il ripristino della legalità, violata con i brogli elettorali.
Così, la regia militare sicuramente prevede, che una volta che si saranno tenute le loro elezioni, organizzate secondo le loro regole e, con un osservatori internazionali, magari russi e cinesi, il mondo dovrà riconoscere che la gente a cui oggi è stato concesso di protestare civilmente, facendo chiasso dai balconi, non è che una netta minoranza. Speriamo solo che l’appello a fare tutto il possibile per cambiare questa drammatica situazione, che mi è arrivato da una importante parlamentare birmana la prima sera dopo il golpe, venga ascoltato e venga preso sul serio. Ma ad oggi, purtroppo ho grandi dubbi. La pandemia, l’assuefazione alle crisi, che affollano i notiziari televisivi e che vengono ascoltate con disattenzione, la crisi delle istituzioni multilaterali e soprattutto i grandi interessi geopolitici ed economici in gioco in quella parte lontana di mondo, anche per alcuni dei paesi europei, produrranno nel tempo la solita assuefazione al male.
Intanto la confederazione sindacale birmana in un comunicato ha chiesto la liberazione di Aung San Suu Kyi, il ripristino del parlamento eletto ed ha rifiutato di andare alla convocazione del nuovo Comitato tripartito al Ministero del lavoro, in quanto non riconosce il governo. Il personale sanitario di tutti gli ospedali pubblici si rifiuta di lavorare per l’esercito e ha cominciato una sorta di sciopero bianco. Insomma il mondo del lavoro si sta organizzando come pure le organizzazioni etniche che rifiutano di riconoscere il nuovo comitato per i negoziati di pace subito messo in atto dai militari. Non possiamo assuefarci al male ma dovremmo sostenere questi semplici eroi che con gesti semplici ma potenti ci possono aiutare a non rimanere indifferenti.
Cecilia Brighi, Segretaria Generale ITALIA-BIRMANIA.INSIEME
Firma la petizione su Change, per la liberazione della leadership democratica birmana http://chng.it/NLBJg5PWCc