Da Antonella c’era da aspettarselo che sarebbe andata in un Paese difficile, in guerra, tutto sommato, perenne e che avrebbe preparato il viaggio nei dettagli pur sapendo che qualcosa poteva andare storto. Fu così anche a dicembre del 2018: con gli auguri disse a noi di Articolo 21, una banda di irriducibili delle notizie pure noi altri, che stava per andare in Sudan perché sentiva che doveva raccontare ancora qualcosa che era sfuggito a tutti gli altri, compresi i molti giornali e tv che non si occupano troppo di esteri. Così è andata. Quando abbiamo appreso del fermo, tra paura e tensione, l’abbiamo maledetta, poi compresa, poi invidiata e infine abbracciata. Questa storia non poteva che finire in un libro dove tutto parla delle donne a cominciare dal titolo, “Il vestito blu”, ma la storia sta dentro un contenitore che unisce l’inchiesta e lo sguardo sociologico, il vizio di fotografare la realtà oggettiva senza dimenticare il sentimento, la Storia e la geografia, il bianco e nero della guerra e il colore della speranza. Non mi sorprende l’incedere da giornalista che Antonella Napoli ha in questo racconto bensì la novità che deriva dal vedere un reportage senza foto. “Il vestito blu” rimanda alle magnifiche inchieste dei settimanali e dei primi anni di Repubblica quando stavi in un luogo, lo vedevi, lo vivevi senza guardare le foto ma solo leggendo. Ciò che manca nell’impero giornalistico fondato sulle immagini senza più neanche la didascalia. Nostalgia? Forse. Necessità? Anche. In questo viaggio di Antonella in Sudan, nel cuore di un continente fragile eppure fiducioso, c’è molto della “sua Africa”, luoghi che non si stanca di narrare, seguire e per i quali combatte fino al punto di rischiare in prima persona.
“Il governo aveva cercato di manipolare l’informazione sulle rivolte, in modo da poterne minimizzare l’ampiezza. Le dichiarazioni degli uomini forti del regime, diffuse attraverso i media filogovernativi, puntavano a sminuire i tumulti e a far passare il messaggio che la situazione fosse sotto controllo. Lo stesso Presidente Bashir aveva più volte dichiarato davanti a folle di sostenitori che si trattava solo di ‘piccoli e insignificanti problemi causati da una manciata di nemici del Sudan'”: è uno dei passaggi de “Il vestito blu” ; quella è infatti l’altra “fissazione” di Antonella e della squadra di Articolo 21, piuttosto fissati pure loro per la democrazia ovunque e comunque.
“La tensione durante le manifestazioni è palpabile, ma mai avrei creduto che in pieno centro a Khartoum la polizia caricasse la gente senza che ce ne fosse motivo”, scrive Antonella. Era tutto vero e lei lì a registrarlo con i suoi occhi per riportarlo a noi, seppure incredula. Si va avanti così in questo racconto che ti fa correre insieme ai manifestanti, a perdifiato verso la democrazia o l’illusione, accanto a donne, uomini, macchine, paesaggi, monumenti. E sempre veloci fino all’ultima riga, scorrendo le pagine, bevendole in un sorso. Ed è un bel viaggio, ne vale la pena. Aveva ragione Antonella a dirci, a fine 2018, che doveva volare a Karthoum. Ha fatto proprio bene. Anche se ci ha fatto prendere un grande spavento, ha riportato “Il vestito blu”. Le testimonianze vivide e potenti raccolte nei tre giorni in Darfur sono l’eco indelebile di una terra che ha bisogno di tutto ma sopra ogni cosa ha necessità di essere descritta, letta, narrata e conosciuta quassù in Europa. Per questo ad Antonella dobbiamo un grazie sentito.
“Il vestito azzurro” di Antonella Napoli, Edizioni People, esce nelle librerie giovedì 18 febbraio e racconta “le settimane travagliate della caduta del regime di al-Bashīr, a partire dalle rivolte del pane. Un viaggio che dalle strade di Karthoum – segnate dagli scontri violenti tra il regime e i contestatori – ci porta nel Darfur, dove sarà cruciale l’incontro tra Antonella e la giovane rifugiata Hiba, con cui si crea un legame speciale che passa per il vestito azzurro che dà il titolo al libro”. Durante quel reportage l’autrice è stata trattenuta per ore dai servizi di sicurezza sudanesi, sotto interrogatorio. Poi l’intervento dell’Ambasciata italiana e del Ministero degli Esteri. Il fermo in Sudan purtroppo è stato l’inizio di una brutta avventura perché Antonella Napoli in seguito ha ricevuto minacce dai Fratelli Musulmani sudanesi e per questo motivo è stata sottoposta a sorveglianza ed è nell’elenco, troppo lungo, dei giornalisti a rischio. Ha subito altri attacchi e insulti sui social per i suoi servizi d’inchiesta sulla Turchia e sull’Egitto, tuttavia non ha mai smesso di scrivere delle periferie dimenticate dai grandi media. “Ho sempre preferito andare, soprattutto se da questo dipendeva la possibilità di illuminare fatti altrimenti destinati all’oblio, sia su terreni di conflitti che di crisi umanitarie. Ho improntato i miei racconti all’insegna dell’indignazione. – dice – Indignare per abbattere l’indifferenza e per spingere ad agire. È solamente la sorte che ci fa nascere al sicuro o in pericolo. E chi è più fortunato ha delle responsabilità nei confronti degli altri. Soprattutto quando sei una donna. Il mio mestiere non è un lavoro, è una passione che diventa dovere. È responsabilità. Poter essere in un posto nel momento in cui un fatto diventa Storia, notizia, è qualcosa di speciale, ma lo è soprattutto ascoltare e dar voce a chi non ce l’ha. Anche dopo trent’anni di giornalismo, la voglia di partire è rimasta immutata, perché percepisco chiaramente che il mio posto, quando decido di raccontare crisi e conflitti ignorati, è tra gli ultimi, i dimenticati.”
Antonella Napoli – Giornalista e analista di questioni internazionali, ha collaborato e collabora con importanti testate nazionali ed estere, tra cui Limes, Vanity Fair, Left, Daily Mail, Sudan Tribune, Il Fatto Quotidiano, Avvenire, L’Espresso e Repubblica. Ha realizzato inchieste e reportage in diversi Paesi del mondo e aree di crisi, ottenendo premi giornalistici nazionali e internazionali, tra cui il Premio Franco Giustolisi “Verità e giustizia” 2020. Autrice di vari saggi e libri, tra cui il best seller Il mio nome è Meriam (Edizioni Piemme) tradotto in 6 lingue e pubblicato in 8 Paesi, è stata insignita della Medaglia di Rappresentanza della Presidenza della Repubblica nel 2011 per il reportage fotografico, poi divenuto mostra itinerante, Volti e colori del Darfur. Membro dell’ufficio di presidenza di Articolo 21 e di GIULIA – Giornaliste unite libere autonome, dirige il magazine Focus on Africa. Dopo il fermo in Sudan, ha ricevuto minacce di morte dai Fratelli Musulmani sudanesi.