Ancora oggi la questione tibetana rimane drammaticamente aperta, poco affrontata e praticamente quasi sconosciuta in Occidente e in Oriente, proprio lì dove i tentativi di annullare la cultura e la tradizione tibetane ad opera del governo cinese si protraggono ormai da decenni. Ciò però non significa che il Tibet non abbia comunque modo di raccontarsi. Ce lo dimostra Tenzin Dickie, poetessa e scrittrice tibetana nata tra i profughi della diaspora, che ora vive a New York dopo quattordici anni vissuti in India. Ha curato questo bel volume di narrativa tibetana contemporanea mai pubblicata prima in Italia. Antichi demoni, nuove divinità (ObarraO edizioni, pp. 216, € 18,00, trad. di Giulia Masperi), si presenta come una raccolta di quindici racconti di diverso genere e diversa estensione di alcuni tra i più noti scrittori tibetani che scrivono nella loro lingua, in inglese e in cinese. Essi danno voce alle culture di un popolo a lungo represso che cerca di far sopravvivere la propria millenaria tradizione in un mondo moderno e globalizzato. In questo senso appare significativa la stessa copertina che esprime in maniera eccellente il contrasto fra tradizione e modernità opponendo un testo scritto in elegante grafia tibetana al principale mezzo della rivoluzione digitale: le app.
Al centro una grottesca maschera tradizionale, una bandiera del Tibet strappata e alcune macchie di sangue che sembrerebbero indicare le ferite di un paese che lotta strenuamente per la propria sopravvivenza. I racconti non sono mai ripetitivi, se non per i nomi dei personaggi che animano le storie e che si richiamano come a creare il filo conduttore di tutto il libro. Tutti i racconti sono accomunati dalla magica rievocazione dei paesaggi del Tibet descritti con grazia e con un linguaggio incredibilmente evocativo. Ed è così che alcuni scrittori ci fanno intravedere picchi innevati, fiumi cristallini che con il loro sinuoso andamento irrorano terre ora spoglie, ora rigogliose, campagne popolate da gente semplice dove il tempo è scandito dalla posizione delle stelle o dalle gocce di pioggia che scivolano giù dalle grondaie. Il paesaggio suggestivo fa però da sfondo ad esistenze non certo idilliche: piuttosto realtà meschine, storie di povertà e di prostituzione, di uomini e donne schiacciati da un destino ineludibile.
Un altro filone è quello dell’inspiegabile: racconti che partono da una situazione ordinaria e che si concludono in maniera brusca ed improvvisa, lasciando il lettore con alcuni interrogativi irrisolti e che offrono importanti spunti di riflessione. Antichi demoni, nuove divinità è assai pregevole non solo per il suo valore documentario ma anche per la capacità di trasportare il lettore verso quei luoghi e gli permettono di seguire le vicende dei personaggi come se si fosse al loro fianco. Si provano sentimenti di ogni sorta: dall’indignazione di fronte a ingiustizie e soprusi alla gioia per le occasioni di riscatto, dalla curiosità alla meraviglia, dallo sbigottimento alla trepidante attesa di sapere come le storie si risolveranno. In poco più di duecento pagine, il volume raccoglie le testimonianze di scrittori della diaspora e del Tibet cinese i quali, con una lingua priva di altezze poetiche e per questo estremamente efficace, ci raccontano di quello che è rimasto della loro terra dopo la sinizzazione forzata, sia a Dharamsala, attuale sede del governo tibetano in esilio, sia nel resto del mondo. Lettura indispensabile per saperne di più su questa area di mondo e per cercare testimonianze di prima mano su una questione troppo spesso manipolata.
Tenzin Dickie, Antichi demoni, nuove divinità ObarraO edizioni, pp. 216, € 18,00, trad. di Giulia Masperi