(La situazione è troppo disperata per lasciarla ai disperati)
Una nota leggenda metropolitana legata alla disastrosa avventura statunitense in Viet-Nam racconta di un cittadino americano che era solito manifestare settimanalmente davanti alla Casa Bianca. Una volta un giornalista gli si avvicinò e gli chiese con tono beffardo: “Lei pensa davvero che stando qui cambierà il mondo?”. “Cambiare il mondo?” Gli rispose l’uomo, sorpreso. “Ovvio che no! Io voglio essere sicuro che il mondo non cambi me”.
Ma se dovessi rispondere alla cinica domanda del giornalista direi che, malgrado l’attuale realtà contraddica e, addirittura, irrida alle speranze di pace e nonostante tutte le vicissitudini della mia vita sono ancora convinto che la pace tra Israele e i suoi vicini (in particolare i palestinesi) non solo sia possibile, ma essenziale a entrambe le parti. E, nel caso riuscissimo a raggiungerla, rappresenterà il cardine della nostra e della loro opportunità di continuare ad esistere.
“E’ questa la mia aspirazione. E’ questa la storia di questo libro”.
Sono queste le riflessioni che aprono l’ultimo libro di David Grossman, dal titolo evocativo: “sparare a una colomba”, Mondadori Editore (144pp – €17), nelle librerie dal 26 gennaio. Una raccolta di interviste e di interventi pubblici tenuti dall’Autore nel corso degli ultimi anni, con al centro un’unica narrazione: quella della necessità di pervenire ad una pace duratura tra due popoli da sempre in guerra tra di loro, accomunati come sono, indissolubilmente, da un destino comune.
Ma il libro non è soltanto questo. Esso è, infatti, soprattutto un viaggio nell’animo umano, fatto con il cuore aperto alla speranza, alla riscoperta del valore della letteratura e del suo valore catartico rispetto alle tragedie dei nostri tempi.
Il libro ci parla della storia di persone che soffrono, che amano, che non si danno per vinti, che sperano in un domani migliore! In un futuro migliore per l’uomo. E ciò nonostante la narrazione ufficiale della storia sia fatta di ferite, tragedie, di odi e di violenze. Forse è vero, ci ricorda l’Autore, ci sono conflitti irrisolvibili, che poggiano su dei miti fondanti che hanno avuto un ruolo importante nel costruire l’identità e la coscienza di un popolo, ma forse è arrivato il momento di guardare ad essi con occhi diversi.
Così anche per il dibattito sulla Shoah, inteso come avvenimento dal valore universale, il quale dovrebbe essere rivitalizzato per renderlo più vivo e rilevante nella vita di ognuno. Infatti, quanto più ci si allontana, per il passar degli anni, da quegli avvenimenti, quanto più il numero dei sopravvissuti diminuisce, gioco forza, tanto più aumenta il rischio che il dibattito rimanga circoscritto all’ambito accademico, astratto, e perda il suo legame con la dimensione umana, individuale: “coloro che ricordano si allontanano dalla sofferenza”.
Ma in questo libro la vicenda ebraica è soltanto un pretesto utilizzato dall’Autore per un viaggio alla ricerca della speranza per un domani migliore. Tutto ciò senza tralasciare le debolezze, le fragilità, le ansie, le incertezze, le minacce incombenti che ne caratterizzano il percorso terreno. A far da contraltare, la letteratura, la poesia, il teatro, la musica…, i quali rappresentano i “luoghi” in cui l’individuo moderno può affrontare l’esperienza umana. Ma Grossman non tralascia di richiamare gli “artisti” alle loro responsabilità nel rappresentare i fatti del mondo in modo immediato, non manipolatorio, sentimentale, volgare o esaltato. E’ necessario raccontare la storia per quello che è, con le sue atrocità, aberrazioni, ma anche con le sue scintille di luce e di pietà, di compassione e di coraggio.
La società moderna ci sfida su questi temi, presentandosi aggressiva, anonima, ma ognuno di noi può rispondervi a proprio modo, Grossman lo fa scrivendo!