Un cavillo ha salvato Vitaly Markiv dalla condanna per l’omicidio di Andrea Rocchelli e Andrej Mironov, ma anche la sentenza d’appello dice che l’attacco assassino è arrivato dai suoi commilitoni ucraini. Le motivazioni della sentenza che ha stabilito che «non è possibile stabilire oltre ogni ragionevole dubbio che Markiv abbia contribuito alle condotte» che hanno provocato la morte di Rocchelli e Mironov riempiono 72 pagine. E confermano – c’è scritto nel paragrafo 3.7 – che anche la Corte d’Appello di Milano “sposa” le conclusioni del processo di primo grado: le vittime furono raggiunte da «dei colpi di mortaio sparati dalla collina Karachun ad opera dei militari dell’Armata Ucraina, in direzione del fossato ove erano nascosti i fotoreporter, il tassista e il civile». La sentenza aggiunge che le prove attestano che il gruppetto di civili era riconoscibile e non aveva atteggiamento bellicoso: «l’attacco a Mironov, Rocchelli e Roguelon, come ha affermato la sentenza appellata, ha avuto luogo senza alcuna provocazione ed offensiva, né da parte loro, né da parte dei filorussi. È vero che la zona era sulla linea di tiro tra uno schieramento e l’altro – continua la sentenza – ma i giornalisti di guerra raggiungono proprio le linee del fronte per constatare e poi raccontare e informare l’opinione pubblica su ciò che avviene durante i conflitti bellici». L’ordine di sparare su tutto ciò che si muoveva per difendere l’antenna televisiva oltre ad essere crudele era illegittimo, era contro la Convenzione di Ginevra del ‘49 e del suo Protocollo aggiuntivo del ‘77.
Ma se la dinamica dell’assalto in cui sono stati uccisi Rocchelli e Mironov è confermata perché Markiv ora è libero in Ucraina? Perché – scrive la sentenza – i commilitoni e i superiori di Markiv avrebbero dovuto essere ascoltati come indagati in procedimento connesso, quindi con un legale. Semplificando: quelle dichiarazioni sono inutilizzabili e quindi la certezza “oltre ogni ragionevole dubbio” che Markiv fosse lì ad indirizzare i colpi di mortaio verso i civili non c’è. I giornalisti del Corriere della Sera che avevano sentito il giorno dopo l’assassinio di Rocchelli e Mironov lo stesso Markiv rivendicare la sua presenza nell’area sono credibili, sono «un efficace riscontro alle tesi accusatorie» – dicono i giudici d’appello – ma evidentemente non basta. Curioso? Straziante per chi attende giustizia, ma le cose stanno così: i militari ucraini che dopo l’arresto di Markiv raccontarono al Ros dei Carabinieri particolari che aggravavano la posizione di Markiv, una volta risentiti al processo di primo grado avrebbero dovuto essere assistiti da un legale. Poco importa se Markiv un’ora prima dell’attacco sulla collina di Karachun appariva in divisa, poco importa se nelle intercettazioni in carcere se la prende con i suoi superiori che avrebbero dato l’ordine di sparare sui civili: per i giudici milanesi manca la prova certa che sia stato lui a indirizzare i colpi di mortaio assassini.
*Portavoce Articolo21 Lombardia