Per riscoprire la mediterraneità, la “risorsa-mare” dei siciliani e di un’ampia fascia che dal Portogallo si estende fino alla Turchia c’è un libro che sfogliamo spesso, a più di tre lustri dalla sua uscita. L’ha scritto Tino Vittorio, ex docente di Storia del Mezzogiorno all’Università di Catania, che per amore di paradosso lo ha intitolato a un personaggio mitologico e «terrone» come Anteo: «È come dire di Caino – afferma Vittorio – per parlare di Abele». Il lavoro dello storico catanese Anteo, saggio marinaro sulla questione meridionale d’Italia è una rilettura di secoli di dominazioni straniere che hanno allontanato la Sicilia dal mare: “Basti pensare – dice l’autore del saggio – alla differente evoluzione di due isole, pure tutt’e due normanne. L’aggettivo «marinaro» del titolo potrebbe indurre il lettore poco accorto (o assai accorto) a scoprire la natura iconoclasta di Tino Vittorio. I suoi «formicolii» non sono quelli che derivano da uno status intellettuale sedentario piuttosto da un movimento continuo da entomologo. Inoltre la citazione iniziale da Alain Corbin – «…non c’è mare nel giardino dell’Eden…
Sui bordi del mare meglio che altrove, il cristiano può contemplare le tracce del diluvio, meditare sull’antico castigo, verificare i segni della collera divina…» – potrebbe così affiancarsi all’immagine lucreziana del naufragio con spettatore. Solo che per Tino Vittorio il «naufragio» mediterraneo e siciliano si compie lontano dal mare: il mare così rimosso ha «ruralizzato» i pirati in mafiosi e si è, per usare una definizione di Francesco Renda, «ingessato». E così mentre l’Inghilterra è assurta a prima potenza talattocratica, la Sicilia ha progressivamente perso centralità nello scacchiere mondiale”. Tra le “rivisitazioni” di Vittorio, quella dell’imperatore Federico II di Svevia che avrebbe avuto meno meriti nella storia della Trinacria rispetto ai tanti che gli sono tributati: «Federico II – sostiene Vittorio – spostò il baricentro del regno dall’Isola alla Puglia, vista non come base di partenza per il progetto normanno di allargamento verso Bisanzio ma come antemurale rispetto al Papato, ai Comuni e ai Principi imperiali». Il saggio è anche una stroncatura della nobiltà siciliana, considerata miope di fronte alla Storia perché incapace di guardare con lungimiranza alle vicende patrie: «V’è stata – sostiene Tino Vittorio – un’assenza assoluta della cultura del mare nel pasticcio, nel forziere, delle politiche di sviluppo economico del Meridione.
I nobili siciliani, peraltro, sono sempre stati più che altro camerieri regi, ovvero tizi che si facevano dare terre dalle varie dominazioni e le gestivano dando in cambio tributi o assicurando il contributo a operazioni belliche e di mantenimento dell’ordine. Erano, insomma, sostanzialmente fattori. Una nobiltà lontana dalla realtà di quest’Isola, che è marinara». Insomma in Sicilia si attua la fuga dal mare. Fugge dal mare anche l’Acitrezza di Verga che in realtà «è una località rurale, ruotante attorno a una casa del nespolo, pavimentata di lupini, frequentata da galline, da asini che aspirano a diventare muli per trasportare fave…» Già: il mare visto con gli occhi di un proprietario terriero dell’entroterra ma anche come lo vedevano molti nel Mediterraneo: sarà un caso che gli Arabi indichino ancora le navi col temine màrkab, ossia «cavalcatura» o che gli spagnoli abbiano edificato imponenti fortezze sulle coste? Proprio le fortificazioni spagnole – secondo Vittorio – sono state la vera causa dell’allontanamento di alcune città, come Siracusa, Catania e Messina, dal mare: «Gli spagnoli, dopo la scoperta dell’America, hanno preferito le rotte mercantili atlantiche a quelle mediterranee, preoccupandosi più di armare i porti siciliani militarmente che dal punto di vista mercantile, come avevano fatto invece nei primi secoli di dominazione, quando i catalani dominavano i mercati a Palermo, Messina, Trapani, Siracusa e in tutto il Mediterraneo».
Per «Anteo», che è anche una lunga carrellata sul progressivo arretramento e, quindi, sulla perdita di identità marinara per città come Catania e Siracusa, l’obiettivo è nel recupero della mediterraneità con la realizzazione di un’agognata “Quarta Europa” che, dopo le tre Europe, dell’Est, del Centro e dell’Ovest, vada da Lisbona a Instabul: “Un modo – commenta Tino Vittorio – per essere Asia, Africa, Europa e non essere nulla di tutto questo, allo stesso tempo. Questa cosa ”che è e non è” potrebbe essere un bel simbolo per il terzo millennio, con straordinarie potenzialità. La Quarta Europa, peraltro, ha già le sue capitali che sono Barcellona, Costantinopoli, Il Cairo, Atene, Napoli, Genova, Marsiglia, Palermo e ancora Algeri, quando finiranno di sgozzarsi. Sono tutte città del mare che sono state penalizzate negli anni passati».
Tino Vittorio, Anteo, saggio marinaro sulla questione meridionale d’Italia, Maimone editore, 2003, euro 14,46