“Non ho notizie di mio marito dal 24 novembre” queste le parole di Vida Mehrannia la moglie di Ahmadreza Djalali il ricercatore condannato a morte in Iran con l’accusa di spionaggio.
In uno dei servizi su Tv7 il settimanale del TG1 andato in onda venerdí 15 gennaio 2021 su Rai1 dal titolo PRIMO: NON UCCIDERE a firma di Amedeo Ricucci girato assieme a Simone Bianchi si ripercorre la vicenda Djalali medico iraniano a rischio imminente di esecuzione.
Per il suo lavoro di ricerca Djalali che ha doppia cittadinanza iraniana e svedese, era solito recarsi in Iran come relatore in convegni e congressi sui temi della sicurezza. Era in viaggio d’affari in Iran quando è stato arrestato dai funzionari del Ministero dell’Intelligence nell’aprile del 2016. La sua famiglia non ha avuto informazioni sul luogo di detenzione per dieci giorni dopo il suo arresto. È stato tenuto in una località sconosciuta per una settimana prima di essere trasferito alla sezione 209 della prigione Evin di Teheran, dove è stato detenuto per sette mesi, tre in isolamento.
In tutti questi anni Djalali ha sempre negato le accuse contro di lui e sostiene che siano state fabbricate dalle autorità. Il ricercatore ha insegnato all’università in Belgio, in Svezia e presso l’Università del Piemonte Orientale. In una lettera dell’agosto del 2017 scritta dall’interno della prigione di Evin, afferma che sono state le autorità iraniane nel 2014 a chiedergli di “collaborare con loro per identificare e raccogliere informazioni provenienti dagli Stati dell’Ue”. La sua risposta era stata “no”.
Il ricercatore venne costretto a rilasciare una falsa confessione alla tv di Stato iraniana, ammettendo di aver spiato il programma nucleare irianiano e confermando di aver lavorato per il Mossad Israeliano in cambio dei soldi e della residenza in Svezia. L’esecuzione di Djalali é stata piú volte rimandata nel mese di dicembre 2020 e dall’ultima telefonata fatta a sua moglie non si hanno piú notizie.
Nelle ultime settimane le organizzazioni per i diritti umani, come Amnesty International, e le comunità accademiche hanno chiesto a gran voce la scarcerazione dello scienziato.
Al programma Tv7 hanno preso parte in collegamento dalla Svezia la moglie Vida e la figlia Amitis. Hanno contribuito Tiziana Ciavardini, esperta di Iran, Riccardo Noury, Portavoce di Amnesty International e Luca Ragazzoni collega del ricercatore presso il Centro Crimedim.
Un plauso alla RAI e all’autore del servizio che attraverso la divulgazione della drammatica vicenda di Djalali ha portato alla luce anche la disumana pratica della pena di morte in Iran spesso ‘esibita’ in pubbliche piazze. Ci auguriamo inoltre che il servizio possa aver in qualche modo smosso qualche coscienza e contribuito alla causa di Djalali affinché venga presto liberato e ‘restituito’ alla propria famiglia.
Di seguito il link del servizio. https://fb.watch/32XOfYZSg5/