80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Per fatto “personale”. Quando finisce una storia…

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Scrivo questa volta per una sorta di “fatto personale”, e abuso più di sempre della benevolenza di “Articolo 21”.

Accade che tutte le cose, anche le più belle, ci sia un tempo; e che  a un certo punto debbano finire. Finisce la vita, figuriamoci il resto; e in questo “resto” c’è anche l’avventura al “Tg2” cominciata un 4 febbraio del 1991. E’ giusto che i dinosauri facciano spazio ai “giovani” e che siano loro, ora, a giocare le loro carte.

Ho attraversato il “Tg2” in tutte le sue molteplici stagioni, alcune condivise, altre sopportate, altre ancora avversate. Non sono andato a scuola dalle proverbiali Orsoline, non mi scandalizza che il “Tg2” e la RAI siano state sensibili, e ancora lo siano, agli equilibri che via via si formano nei “palazzi” del potere: quelli istituzionali, quelli partitici, quelli reali e occulti. Ma non è di questo che ora voglio parlare.

Qui, ora, mi preme ringraziarlo, il “Tg2”: mi ha dato molte soddisfazioni, umane e professionali. Un patrimonio incancellabile, lo porterò sempre con me.

Ho imparato tanto: dell’umana natura e di questa professione. Da tutte e tutti ho “rubato” più di qualcosa.
Ho imparato che questo è un lavoro che chiede passione, sentimento, competenza, umiltà; e soprattutto la consapevolezza che l’obiettivo si raggiunge solo se si è “squadra”.

Devo davvero tanto a tanti: persone di cui a volte so appena il nome. Mi riferisco a tutte quelle figure professionali che considero miei colleghi, e sono liquidate come “tecnici”: quelli che consigliano una postura invece di un’altra; che ti aggiustano il nodo di una cravatta, si preoccupano di una luce o di un sonoro…

A tutti loro dico un grazie vero e sentito.

Un grazie a figure sempre più rare nel TG: gli assistenti degli operatori; a volte loro hanno salvato servizi che altrimenti non sarebbero mai andati in onda.

Un grazie agli operatori: essenziali col loro sapere e la loro passione; senza la cura delle loro immagini nulla di quello che ho fatto si sarebbe potuto fare: quando sono entrato ce n’erano tanti, da loro ho imparato molto; citarli tutti è impossibile, ma due li voglio ricordare, maestri nel senso più vero: Maurizio Cirilli e Marcello Palmisano.

Lo stesso discorso per i montatori. Non si contano le cappellate che per merito loro ho evitato; i complimenti avuti per certi servizi, anche loro li meritano: capaci con due fotografie di salvare un pezzo che altrimenti non avrebbe avuto senso.

Le/gli assistenti e le/i ricercatrici/tori: quante volte li ho tormentati per trovare immagini, anche cinque minuti prima della messa in onda. Senza la loro pazienza e la loro competenza molto poco del buono che ho potuto fare si sarebbe fatto.

Sono grato a tutte le colleghe e colleghi giornalisti “professionisti”. Con alcune e alcuni sono stato più in sintonia che con altre e altri, ma questo è nell’ordine delle cose. Come ho detto, da tutte e da tutti ho “rubato” più di qualcosa.

Restano i Direttori. Ho cominciato con Alberto La Volpe. A lui devo una lezione fondamentale: mai far vedere immagini crude di sangue, e comunque mai morti ammazzati che non fossero almeno coperti da un lenzuolo o da giornali.

Un solo direttore, tra quelli avuti, NON mi è caro; ma anche lui mi ha insegnato: quello che non si deve fare.

Dietro il “buono” che c’è nei miei circa diecimila servizi, ci sono tutte queste persone, molte delle quali con poco o nessun riconoscimento.

Dietro gli errori e le lacune, ci sono solo io.

Sono stato fortunato: non ho detto e scritto tutto quello che avrei voluto dire e scrivere, ma questo credo accada in ogni testata, in ogni giornale. Ho però fatto solo quello che volevo fare; certamente ho commesso errori, cose dette o scritte oggi non le direi o scriverei. Ma nel momento in cui le ho dette e scritte, le volevo dire e scrivere, nessuno mi ha imposto di farlo, mi ha censurato o “dettato” qualcosa. E’ una piccola grande libertà di cui sono orgoglioso.

Ripeto, sono stato fortunato: mi sono divertito.

Chiudo con un “in bocca al lupo” a tutti i colleghi che sono ancora “operativi”. Rispetto ai miei primi tempi (s’usava la macchina per scrivere), tanto, tutto è mutato. Non sempre in bene. Forza e coraggio. Ne hanno bisogno.


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