Prima l’hanno definita ‘incomprensibile’, poi il Pd ha voluto dare una qualche dignità alla scellerata scelta di Renzi, definendo la crisi ‘errore politico’. Sarà vero che tutto è legittimo per tentare di risolvere il terribile pasticcio di una crisi che danneggia tutti noi, ma a volte servirebbe di più maggiore sincerità e avere il coraggio di chiamare le cose con il loro vero nome. Lo ha fatto sul ‘Corriere della sera’, il 29 gennaio, una splendida vignetta di Giannelli: Renzi parla con Mattarella dichiarando che quello che conta per lui è solo il programma, mentre con una mano protesa oltre una finestra tenta di mandare sott’acqua Conte per affogarlo.
Lotta tra due galli di un asfittico pollaio? No, per niente. Quello che Renzi non perdona al Presidente del Consiglio è la sua capacità di essere davvero un ‘punto d’equilibrio avanzato’ come da più parti è stata definita la sua guida del governo. Chi considera la politica solo come tattica e spregiudicata lotta per il potere non può certamente sostenere chi ostinatamente cerca di tenere la barra dritta pensando più a cosa fare per il Paese in un momento tanto drammatico.
Conte ricorda un gentiluomo meridionale d’antica scuola che forse non aveva previsto di rischiare di rimanere stritolato da parte di chi ragiona solo in termini di gestione, visibilità, trattative sottobanco. Ha fatto crescere la serpe in seno, serpe che neppure gli scafati politici del Pd erano riusciti a controllare. Gli avevano consentito di formare i nomi da inserire nelle liste elettorali, poi non erano riusciti in alcun modo ad arginare l’azione del pifferaio magico che si era portato via una costola importante del partito. Pifferaio che continua a suonare la sua melodia acchiappa topi e a lanciare polpette avvelenate per scardinare sia il Pd, sia l’alleanza tra il suo ex (?) partito e il Movimento Cinque Stelle. Da qui, da una parte, il tentativo di fare il nome di Gentiloni come sostituto di Conte, dall’altra la richiesta a gran voce ‘ci dicano se ci vogliono nella maggioranza’.
La sostanza vera risiede nel non dichiarato. La volontà espressa da Conte, all’inizio dell’assegnazione del Recovery Fund europeo, della nomina di una cabina di regia che avrebbe sottratto alle avide ambizioni dei capipartito la spartizione clientelare degli oltre 200 miliardi. Come poteva permettersi un professore-avvocato di scardinare la prassi che da sempre ha guidato la gestione del potere vero, quello economico? E’ cominciata allora la richiesta di un governo ‘più qualificato’, di un ‘cambio di passo’.
Quale risposta avrebbe potuto dargli Conte se non quella di ragionare, sedersi intorno ad un tavolo, trattare? Poteva farlo lui che, senza alcuna propria sponda partitica non è stato neppure in grado, con l’antico gioco delle promesse, di aggregare un numero adeguato di ‘volenterosi’, ‘responsabili’, costruttori’?.
Basta fare un confronto con il caso Vitali, il senatore di Forza Italia che nell’arco di sei ore è stato due volte voltagabbana. E’ bastato che il tandem Berlusconi-Salvini lo richiamasse all’ordine promettendogli probabilmente qualche collegio sicuro alle future elezioni per fargli passare la voglia di ‘aiutare il Paese’. Ma Vitali non ha suscitato nessuno scandalo. Lo scandalo che invece è stato urlato a gran voce da Salvini contro il nuovo gruppo parlamentare che si stava formando a sostegno di Conte e poi ripreso da Renzi. Il secondo Matteo dimentico di quello che lui stesso aveva fatto uscendo dal Pd con i suoi fedelissimi una volta formata la nuova maggioranza in modo da costruirsi una pericolosa e sistematica arma di ricatto. Il Renzi che non si vergogna di parlare del basso costo del lavoro omaggiando il principe Mohammed Bin Salman, quasi a voler ribadire il valore del suo vergognoso jobs act e della cancellazione dell’articolo 18, facendosi fotografare a colloquio con lui, lanciando l’Arabia come sede di un nuovo possibile Rinascimento (povero Lorenzo il Magnifico!) e dichiarando: “E’ un grande piacere e un grande onore essere qui”.
Ma ormai è più che evidente la sintonia del duo Matteo&Matteo. Quello che dovrebbe spaventare e preoccupare è il futuro della democrazia che in queste ore viene ridotta ad un’indegna gazzarra in cui il cittadino elettore non esiste più, quel cittadino elettore al quale dovrebbero pensare i rappresentanti eletti in un momento di tragedia nazionale con centinaia di morti, una pandemia che non rallenta, le scuole chiuse, posti di lavoro persi a milioni, miliardi di euro per la cassa integrazione. Invece si assiste ad una farsa, al Titanic che affonda mentre i musicisti continuano a suonare.
Il duo Matteo&Matteo ha un vero, unico obiettivo da perseguire: la dittatura dell’ego, del condottiero, del leader senza il quale tutto rimane fermo o va a fondo. Anche dopo l’incontro con il presidente della Repubblica, Renzi non ha resistito ad una delle tribune istituzionali più alte messagli a disposizione ed ha fatto il suo solito comizio. Il disco dell’altro Matteo a volte sembra cambiare musica, poi ritrova il suo solito punto di rottura: elezioni, elezioni, elezioni.
Confesso che ormai non mi interessa più come andrà a finire. Ho paura che le prossime elezioni, con la drastica riduzione dei parlamentari, vedranno uno spaventoso accentuarsi degli orribili scenari di questi giorni. Il povero Pannella che tuonava contro la partitocrazia forse temeva che saremmo giunti a questo.
Oggi mi chiedo: quale livello di astensione dagli appuntamenti elettorali dovremo attenderci perché la politica ritrovi serietà e missione di servizio? Quando sarà avviata una seria riflessione sul fatto che i luoghi istituzionali, come Parlamento e Senato, non possono essere trasformati in piazze o bar dello sport? Ci sarà un capopartito capace di guardare oltre i confini della propria appartenenza?
Ottavio Olita, portavoce Articolo21 Sardegna