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Le proteste dell’ultima università libera della Turchia contro la repressione di Erdogan

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L’Università del Bosforo di Istanbul è una delle migliori in Turchia, culla del pensiero critico e della libertà politica e religiosa. Tra gli studenti sono attivi gruppi femministi ed lgbt, e le studentesse potevano portare il velo quando nel resto degli atenei era ancora vietato (fa impressione come oggi, pochi anni dopo, ci sia una repressione opposta: ad essere osteggiata, in Turchia, è la cultura laica). Dalla settimana scorsa l’ateneo ha un nuovo rettore, scelto dal Presidente turco Recep Tayyip Erdogan, come prevede la legge dal 2017. Si tratta di Melih Bulu, «uomo – spiega il settimanale tedesco Zeit – con scarse qualifiche accademiche ma con le giuste credenziali di partito»: fa parte fin dall’inizio dell’Akp, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo fondato da Erdogan. Non è l’unico: dal 2019 a oggi Erdogan ha nominato quasi 30 nuovi rettori a lui fedeli in tutto il Paese, con l’obiettivo di eliminare ogni voce critica sul nascere, a partire dall’istruzione.

«Arresti e licenziamenti di professori dopo il fallito colpo di stato del 2016 avevano già eroso l’autonomia delle circa 200 università del Paese. La repressione del campus fa parte di una più ampia azione di repressione delle libertà in Turchia che ha paralizzato la stampa, la società civile e l’opposizione politica, mentre Erdogan ha rafforzato la sua presa sul potere» aggiunge Politico. Si stima che almeno 8.500 accademici critici nei confronti del regime siano stati licenziati. Finora l’Università del Bosforo aveva evitato gran parte delle purghe grazie al precedente rettore. Ora Erdogan ha voluto imporre una stretta.

Ma gli studenti e i docenti dell’ateneo non hanno nessuna intenzione di piegarsi alla volontà del presidente: per la prima volta ci sono grandi proteste, che si sono allargate anche ad altre università. «Per stroncarle Erdogan si serve della polizia armata, chiama i professori e gli studenti che protestano terroristi, decine sono stati arrestati» spiega Die Zeit. La settimana scorsa la polizia ha caricato con i lacrimogeni gli studenti di fronte all’ateneo, unità in assetto antisommossa ne hanno prelevati 45 dalle loro case. «La cultura dell’università del Bosforo si basa sui concetti di libertà e giustizia, ma il governo vuole plasmare tutte le università a sua immagine e somiglianza. Quando il presidente parla del nostro ateneo, vomita odio» dice a Politico Devrim Barıs Yılmaz, un diciannovenne laureato in sociologia che si è unito alle proteste.

«La nomina di Bulu è un tentativo di “conquistare” un’università conosciuta per il suo forte impegno nella autonomia universitaria e nei principi etici, anche dopo che la Turchia è diventata un regime sempre più autocratico» dice Esra Mungan, una professoressa di psicologia dell’ateneo che è stata in carcere per 40 giorni e sotto processo per tre anni per aver firmato nel 2016, insieme a oltre mille colleghi, una petizione che chiedeva la fine delle operazioni militari contro i militanti curdi. «Qui ci sono studenti di provenienze diverse che apprendono idee a cui prima non avevano accesso e imparano a tollerare opinioni a cui finora erano assolutamente contrari. Penso che sia questo che ha fatto infuriare Erdogan» aggiunge.

La repressione di Erdogan ha portato la Turchia a precipitare nelle classifiche che misurano la libertà accademica, portandola ai livelli di Paesi come la Libia, l’Iran, la Corea del Nord e la Cina. E al contempo ha fatto calare moltissimo la qualità del suo insegnamento. «Il Times Higher Education ora mette l’università del Bosforo nell’ultimo quarto della classifica degli atenei, mentre in precedenza la inseriva nella metà superiore» scrive Politico. Oggi le menti migliori della Turchia vanno a studiare all’estero. E la maggioranza di loro vi rimane, un fenomeno che favorisce il declino del Paese. Negare la libertà significa anche questo.


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