Il 22 gennaio 1891, 130 anni fa, nasceva ad Ales, paesino del centro Sardegna, Antonio Gramsci. Il suo pensiero, le sue analisi, suscitano grande interesse intutto il mondo e, in particolare, nel continente Sudamericano. Ne abbiamo parlato con il professor Gianni Fresu, 48 anni, studioso di Gramsci, che da sei anni diffonde la conoscenza delle sue opere in Brasile.
In che Università insegna e da quanto tempo?
Mi sono trasferito in Brasile nel 2014, per lavorare alla Universidade Estadual Paulista, quindi nel 2016 ho vinto il concorso come professore di Filosofia politica alla Universidade Federal de Uberlândia, nella seconda città dello Stato di Minas Gerais. Nel mentre, in ottobre, ho avuto una chiamata diretta dall’Ateneo di Cagliari per lavorare come ricercatore al Dipartimento di scienze politiche e sociali, dunque, pur mantenendo il mio ruolo nell’Università brasiliana, per almeno tre anni lavorerò di nuovo nella mia terra Poi si vedrà.
Come è venuto a conoscenza dell’interesse di quell’Università per Gramsci?
Ho sempre saputo della grande vivacità degli studi gramsciani in Brasile.Nel 2014 ho accettato la proposta di visiting professor alla UNESP avanzata da Marcos Del Roio, uno dei più importanti studiosi di Gramsci in America Latina e ho dunque accettato con entusiasmo. Mai scelta fu più azzeccata, grazie a condizioni umane, intellettuali e professionali veramente speciali, mi sono trovato così bene in quell’ambiente accademico da decidere di restarci. Nel 2015, a Rio de Janeiro, ho avuto la fortuna di partecipare alla creazione di una delle più grandi organizzazioni gramsciane del mondo, l’International Gramsci Society Brasil, di cui, nel 2019, sono diventato il Presidente. Confesso di essere stato travolto da un mondo molto più ricco e dinamico di quanto avrei potuto immaginare. Abbiamo una rivista scientifica, un bollettino e una collana editoriale, il tutto in un contesto nel quale Gramsci è al centro di diversi corsi di laurea e dottorato, oggetto di discussione in convegni partecipatissimi e in pubblicazioni che segnano la vita accademica e cultuale nazionale
Quali temi principali affronta nelle sue lezioni?
Ovviamente nei miei corsi mi occupo di argomenti utili alla formazione degli studenti nella mia disciplina, dunque nei miei corsi tratto delle categorie filosofiche nelle tradizioni liberali, democratiche e socialiste, ma, occupandomi anche di materialismo storico, dunque della transizione dall’idealismo alla filosofia della praxis di Gramsci, oltre a Hegel e Marx, mi occupo molto dell’intellettuale sardo, così come di altri autori italiani come Croce e Labriola. C’è un grande interesse su come Gramsci approccia la complessità dello Stato nelle società moderne al punto da rendere la direzione culturale la vera chiave di volta dei rapporti di potere. Ma Gramsci attrae anche per come si rapporta ai processi di modernizzazione conservatrice nella Storia d’Italia, elaborando concezioni poi applicate in altre parti del mondo.
Come giudica la diversa attività giornalistica di Gramsci dall’Unione Sarda, all’Avanti! A l’Unità?
Per Gramsci il giornalismo non fu solo un cammino professionale o uno strumento di azione militante, ma una grande passione totalizzante che lo travolse sin dalle sue prime esperienze sarde. A Torino, dove si era trasferito per studiare, il mestiere di giornalista fu un mezzo di affermazione esistenziale, grazie al quale la sua personalità e le sue capacità intellettuali ebbero modo di emergere e imporsi nel panorama del socialismo. Sebbene non firmasse gran parte dei suoi articoli e utilizzasse pseudonimi o al massimo le proprie iniziali, la fama di Gramsci negli ambienti socialisti e più in generale in quelli intellettuali iniziò da subito a diffondersi. Nella sua prefazione a una recente antologia degli scritti sul giornalismo curata da Gian Luca Corradi, Luciano Canfora ha sottolineato il valore della dichiarazione rilasciata da Gramsci durante l’interrogatorio del 9 febbraio 1927 successivo al suo arresto. Come è noto, dinnanzi al giudice istruttore Enrico Macis, Gramsci respinse le accuse di cospirazione affermando la totale controllabilità pubblica della sua attività in quanto deputato e soprattutto giornalista. Ma, secondo Canfora, non si trattava solo di una mossa difensiva, era semmai la rivendicazione di un mestiere: «quello del giornalismo, che Gramsci ha assunto come suo lavoro una volta lasciatosi alle spalle il mondo universitario, dove, pure, la stima del linguista Matteo Bartoli gli apriva una significativa alternativa di vita».
Per Gramsci, pure il giornalismo era una trincea fondamentale, sul terreno della lotta egemonica, nella disputa tra il marxismo e le altre filosofie. L’ideologia liberale, in tutte le sue diverse articolazioni (filosofia, diritto, storia, economia), a differenza del materialismo storico, poteva disporre non solo di una tradizione consolidata, affinatasi nei secoli, e di mezzi (università, scuole, giornali, case editrici, organizzazioni culturali) incomparabilmente maggiori, ma anche di un personale intellettuale preparato. Il mondo socialista doveva costruirlo da zero, in quest’opera degna della sfida di Davide a Golia la capacità di offrire una narrazione differente della realtà e degli avvenimenti era centrale, se si intendeva sottrarre l’insieme delle masse popolari all’influenza esercitata dalle classi dominanti, attraverso quel formidabile arsenale di apparati egemonici e culturali di cui la borghesia disponeva.
Quale impegno, professionalità, competenza pretendeva nel lavoro giornalistico?
Gramsci attribuiva non solo alla scienza storica, ma anche al giornalismo una funzione essenziale nella costruzione di una coscienza critica dei gruppi subalterni, sia per smascherare le forme latenti, larvate e palesi di direzione da parte delle altre classi, sia per costruire una propria visione organica e coerente del mondo. In tal senso, nel Quaderno 6, Gramsci trattò della necessità di formare giornalisti «tecnicamente preparati a comprendere la vita organica di una grande città, impostando in questo quadro (senza pedanteria, ma anche non superficialmente e senza “brillanti improvvisazioni”) ogni singolo problema mano mano che diventa di attualità»[1]. Per l’intellettuale sardo, il giornalista, non solo il caporedattore ma pure il capocronista, doveva avere la preparazione tecnica necessaria a esercitare anche altre funzioni di direzione politica (sindaco, prefetto, membro di un consiglio provinciale); in tal senso «le funzioni di un giornale dovrebbero essere equiparate a corrispondenti funzioni dirigenti della vita amministrativa». Gramsci parla del “capocronaca di tipo organico” come di una figura di grande spessore intellettuale, capace di porre a sintesi gli aspetti più generali e costanti nella vita di una città, sfrondandoli dagli elementi episodici dell’attualità, che pure devono sempre essere al centro dell’attività giornalistica.
Quale seguito ha il suo pensiero e la sua analisi in Brasile e nel resto del mondo latinoamericano?
Nel Brasile di oggi che si trova in una particolare congiuntura segnata dal riflusso democratico e attraversato da una violenta offensiva reazionaria nel quale l’intreccio tra vecchio e nuovo produce fenomeni a volte bizzarri, il pensiero di Gramsci è una risorsa analitica fondamentale. Proprio per questo, al di là del pensiero critico in generale e del materialismo storico in particolare, Bolsonaro ha eletto l’intellettuale sardo a simbolo di una egemonia diabolica da estirpare con qualsiasi mezzo. La diffusione internazionale delle categorie gramsciane scaturisce da esigenze di comprensione della realtà concrete. Non si tratta dunque di uno studio per pura erudizione, bensì di un utilizzo consapevole, finalizzato a comprendere e dare risposte ad alcune contraddizioni storiche fondamentali nella vita culturale, sociale e politica di diversi Paesi. Ciò vale particolarmente per il Brasile, dove l’opera di Gramsci è studiata sistematicamente da oramai cinque decenni nelle più diverse discipline scientifiche: storia, filosofia politica, antropologia, critica letteraria, pedagogia, teologia, scienze sociali.
Il suo pensiero trova attuazione in qualche iniziativa politica? E’ solo oggetto di studi teorici nelle accademie o trova spazio nelle elaborazioni popolari?
Il Brasile di oggi costituisce uno dei laboratori più attivi e stimolanti nel panorama internazionale degli studi gramsciani. Da questo punto di vista il Brasile non è periferia ma punta avanzata. L’intellettuale sardo è oggi uno degli autori fondamentali in Brasile, come nel resto dell’America Latina, non solo nell’accademia, ma nella lotta politica e nella vita di realtà sociali come il Movimento Trabalhadores Sem Terra. Alcune sue categorie come «rivoluzione passiva», «egemonia» e «sovversivismo reazionario delle classi dirigenti», hanno trovato un’applicazione analitica sorprendente. Le analisi contenute nella Questione meridionale e nei Quaderni sui rapporti di sfruttamento semicoloniale tra Nord e Sud nella storia d’Italia, quelle sui subalterni e la funzione degli intellettuali negli assetti di dominio ed egemonia, sono utilizzate per rileggere le vicende della sua storia coloniale e comprendere le grandi contraddizioni sociali e culturali ancora oggi presenti in questo Paese.
Quale l’attualità del suo pensiero in riferimento alle politiche dei Paesi occidentali rispetto allo sfruttamento, alla povertà, alla fame dei Paesi più poveri?
In un contesto drammatico come quello attuale, segnato da una crisi organica mondiale, che è crisi economica e crisi di egemonia di civiltà, un autore come Gramsci, attento studioso delle contraddizioni che caratterizzano la modernità, è una risorsa analitica fondamentale. Di fronte agli effetti combinati della pandemia e della crisi economica, la contraddizione tra il diritto al profitto privato e l’interesse generale è diventata sempre più evidente. Solo laddove il potere pubblico ha mantenuto un ruolo forte di fronte alle richieste del mercato, questa crisi viene affrontata con successo. Dove, al contrario, ha prevalso il dominio ideologico della metafisica del mercato, tutto è diventato più complicato. In Paesi caratterizzati dalla contraddizione tra povertà assoluta e immense concentrazioni di ricchezza economica assistiamo a un autentico fallimento che raggiunge proporzioni inimmaginabili solo un anno fa.
Chi maggiormente sta pagando il conto per gli errori politici e le follie sociali diffuse in questo periodo in Brasile è quel mondo popolato dai subalterni di cui Gramsci si è occupato ossessivamente: le periferie, le baraccopoli, le zone rurali lasciate al loro destino, le masse popolari sfruttate e private di qualsiasi diritto. La disperazione del mondo degli affari, la volontà di riaprire le fabbriche e di riportare i lavoratori alla produzione, confermano una verità che, sebbene messa in discussione fin dal XIX secolo, non cessa di manifestarsi: senza sfruttamento del lavoro non c’è profitto, senza profitto non c’è capitale. Il maggior studioso e traduttore di Gramsci in Brasile, Carlos Nelson Coutinho, ha scritto che la grande diffusione internazionale di Gramsci e la sua importanza per diverse discipline nel campo delle scienze umane e sociali ne fanno oramai un “classico”. Tuttavia, se per opere come il Principe di Machiavelli o il Leviatano di Thomas Hobbes si può parlare di “classici” che mantengono forti tratti di attualità, l’opera di Gramsci è attuale nel senso che egli è stato interprete di un mondo che, nella sua essenza, continua a essere il nostro mondo di oggi.
[1] A. Gramsci, Quaderni del carcere, op. cit., p. 778.