Ottantasette anni, di cui oltre sessanta trascorsi a raccontare storie, realizzare interviste di altissimo livello e narrare l’America e il mondo con un tocco di classe pressoché inimitabile. Addio a Larry King, altra illustre vittima di questo maledetto Covid, volto storico della CNN, capace di corpo a corpo memorabili con i grandi del mondo, sempre sul pezzo, pronto a intervistare presidenti e persone comuni, star mediatiche e personalità in ascesa, rendendo onore all’idea del giornalismo non solo come narrazione dei fatti ma, più che mai, come grande racconto popolare, storia in atto, passione collettiva che viene diffusa e analizzata attraverso i moderni mezzi di comunicazione.
Larry King è stato davvero il re del genere, senza mai scadere nella logica melensa del chiacchiericcio inutile, della polemica contingente, del profluvio di parole insulse che siamo costretti ad ascoltare ogni giorno alle nostre latitudini.
King, al contrario, scrutava l’animo dell’interlocutore, ne scandagliava i pensieri, era meticoloso, attento ai dettagli, incalzante nelle domande, mai prono di fronte ad alcun potere, attento ad affermare la forza delle idee, la dignità delle persone, un modello di giornalismo, ricco di contenuti e rispettoso di chiunque senza mai essere al servizio di nessuno.
Larry King ci dice addio nel momento in cui ci sarebbe stato un gran bisogno del suo stile, comprese le sue bretelle iconiche, la sua simpatia e, naturalmente, la sua infinita autorevolezza.
Un addio colmo di stima, d’affetto e, soprattutto, di riconoscenza.
P.S. Dedico quest’articolo alla memoria di Antonio Gramsci, di cui in questi giorni ricorre il centotrentesimo anniversario della nascita. Lui che ha fondato un giornale che oggi ci manca come l’aria.
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