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“La vostra energia, la tua libertà”. L’incredibile storia dell’Isola delle rose

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Ci sono sogni che sono stati sempre sognati. L’utopia appartiene all’uomo ed è stata espressa da filosofi e intellettuali di tutti i tempi, da Platone a Tommaso Moro, a Voltaire col suo “migliore dei mondi possibili”, o a Defoe con l’isola di Robinson Crusoe.

Il desiderio di costruire un mondo perfetto, fuori da regole prestabilite e condivise, dove regni la libertà e la giustizia, dove poter evadere e realizzare una nuova umanità, è un topos letterario e cinematografico.

Ce ne siamo ricordati guardando il film, uscito il 9 dicembre sulla piattaforma Netflix, L’incredibile storia dell’isola delle rose, con la regia di Sydney Sibilia.

E ci siamo ricordati di una delle ultime opere teatrali di Pirandello, La nuova colonia, che, ispirandosi a una storia vera – la comparsa di un’isola vulcanica a largo delle coste della Sicilia, l’isola Ferdinandea – aveva immaginato l’utopia di un gruppo di uomini diseredati, reietti dalla società, che si rifugiano su questa terra selvaggia e primitiva e cercano una rinascita, fuori dalle convenzioni sociali che li avevano resi alienati. Il sogno durò poco perché, come spesso accade nei microcosmi pirandelliani, l’sola, per intervento del caso, scomparve, così come era sorta dalle profondità del mare.

Anche il film racconta una storia vera, la vicenda di un ingegnere italiano, Giorgio Rosa, che dopo la laurea e una serie di prototipi – velivoli, autoveicoli avveniristici col divano per sedile – progetta di costruire un’isola su una piattaforma, simile a quelle adibite all’estrazione di idrocarburi; l’idea gli viene, infatti, dopo avere letto lo slogan di una pubblicità dell’ente nazionale per l’energia che cominciava, in quegli anni, le trivellazioni nell’Adriatico: “La vostra energia, la tua libertà”.

Cosi costruisce un quadrato di cemento al largo di Rimini, in acque internazionali, e la dichiara uno stato libero indipendente.

Siamo nel Maggio del ’68, l’anno delle rivoluzioni giovanili, l’anno dei sogni in tutto il mondo, dei progetti libertari e della rivendicazione dei diritti; in quello stesso anno Giorgio Rosa, insieme a pochi amici e a qualche personaggio, anche qui, non inserito in società – una ragazza minorenne e incinta che non vuole sapere chi sia il padre del suo bambino, un tedesco disertore che non ha cittadinanza, un naufrago senza patria – abitano l’isola e la trasformano in un piccolissimo universo parallelo.

Il film di Sibilia racconta questa storia, poco conosciuta, che ha rappresentato l’unico momento in cui l’Italia ha intrapreso una guerra di invasione dal momento della nascita della Repubblica. Sì, perché l’Isola delle rose fu bombardata dall’Andrea Doria per una palese dimostrazione di forza e per non creare un pericoloso precedente (al largo dei territori “comunisti”).

Malgrado l’ingegnere avesse sollecitato l’intervento dell’ONU e del Consiglio d’Europa che, da Strasburgo, aveva quasi intrapreso la strada per il riconoscimento del nuovo stato, il governo italiano, con a capo Giovanni Leone, ne decretò, la necessaria distruzione.

Il racconto di questa vicenda si svolge con semplicità lineare e, per questo, gradevole; l’interpretazione del giovane ingegnere sognatore è affidata a un attore unico nel panorama italiano, colui che riesce a costruire la maschera di un volto stralunato e trasognato, carico di stupore e innocenza: Elio Germano. Accanto a lui una giovane attrice che, piano piano, dopo qualche fiction di successo e piccoli ruoli in film più impegnati, sta dimostrando un discreto talento, Matilda de Angelis.

Nel ruolo del Presidente del consiglio Leone, Luca Zingaretti, il suo ministro degli interni, Franco Restivo, è Fabrizio Bentivoglio, personaggio interessante in questa vicenda, che incarna la politica di quegli anni in Italia, certo opportunismo misto a qualunquismo e corruzione, ingerenze del Vaticano e falso perbenismo. Un bel dialogo è stato costruito dagli sceneggiatori – lo stesso regista e Francesca Manieri – quando il Ministro Restivo parla al telefono con l’ingegnere Rosa che gli chiede libertà e diritti e lui si barrica in difesa della Costituzione italiana, che in prima persona ha contribuito a scrivere e che è un baluardo di difesa per tutti i cittadini italiani. Rosa gli risponde che si tratta di “libertà condizionata”.

Il film non ha velleità ideologiche di alcun tipo, non inneggia a principi anarchici, anche perché Rosa voleva fondare uno stato con nuove regole, ma riconosciuto e codificato, non ha la pretesa di affidarci messaggi etici o, in qualche modo, politici, nemmeno ecologistici. Ha un pregio, sicuramente: quello di aver ritagliato un frammento di storia italiana e averla raccontata in maniera diretta, facendone una commedia dal ritmo giusto, con battute ben incastrate, senza troppe ambizioni. Fatta eccezione della, ancora una volta, notevole interpretazione di Elio Germano.

Nella battuta conclusiva il senso vero di quel progetto, o sogno che dir si voglia, di un ingegnere italiano nel 1968: “l’importante è cambiare il mondo, o almeno provarci”.


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