I respingimenti di migranti lungo la rotta balcanica avvengono in maniera illegale, in un contesto di violenza generalizzata, con episodi di vera e propria tortura. Le denunce sono raccolte nel dossier della rete “Rivolti ai Balcani” presentato a Venezia sul ponte della nave soccorso profughi “Mare Jonio”
Il dossier è prodotto dalla rete “Rivolti ai Balcani”, 34 associazioni impegnate sulla rotta balcanica “a difesa dei diritti delle persone e dei principi fondamentali sui quali si basano la Costituzione italiana e le norme europee e internazionali”. A presentare il dossier insieme a loro anche gli attivisti di Mediterranea Saving Humans, la piattaforma della società civile italiana impegnata da anni in iniziative di monitoraggio e soccorso profughi nel Mediterraneo centrale, perché “le violazioni dei diritti umani delle persone migranti, in Libia e nei Balcani, sono le stesse.”
Nel solo periodo maggio – dicembre 2020, si legge nel dossier, l’Italia ha respinto oltre 1.300 persone al suo confine orientale, senza permettere loro di presentare richiesta di asilo, e senza alcun provvedimento formale che potesse essere impugnato, nel totale disprezzo dei principi basilari dello stato di diritto. Lo sottolinea Gianfranco Schiavone, dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, che ricorda i numeri relativi all’intera catena dei respingimenti, numeri che descrivono un’operazione sistematica e pianificata tra diversi stati europei, il cui obiettivo è impedire l’accesso dei migranti ai paesi dell’Unione perpetuando il loro confinamento nella Bosnia Erzegovina o in altri stati della regione. Tra marzo 2019 e dicembre 2020, i respingimenti attuati dalla Slovenia sono stati 9.000, 21.000 i migranti respinti dalla Croazia secondo i dati forniti dal Danish Refugee Council.
Le testimonianze raccolte nel dossier documentano violenze inaudite commesse in particolare dalla polizia croata. Paolo Pignocchi, di Amnesty Italia, ha parlato di una Croazia che mostra un volto da “tigre feroce nei confronti di persone vulnerabili”, ricordando le numerose testimonianze di percosse e ferite inferte agli arti inferiori dei migranti per impedire loro di continuare a camminare.
La rotta balcanica è “una rotta mortale”, ha ricordato Silvia Maraone, volontaria dell’Ipsia Acli intervenuta in collegamento da Bihać, dove opera in collaborazione con la Caritas e la Croce Rossa locale. “Lungo questa rotta – ha detto Maraone – ci sono tante famiglie, bambini, minori non accompagnati. E’ una rotta in cui si muore di assideramento, nei boschi, nei fiumi ghiacciati dei Balcani, o dove si può scomparire e finire vittime dei trafficanti.” In Bosnia ha ricordato Silvia Maraone, ci sono attualmente 9.000 migranti, 6.000 nei campi gestiti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e 3.000 che dormono all’adiaccio o in strutture precarie. Di questi, 1.500 erano sistemati nel campo di Lipa, andato a fuoco il 23 dicembre scorso. Metà di loro vivono ancora tra le rovine del campo o in tendoni non riscaldati, montati in emergenza dalle forze armate bosniache.
Diego Saccora, dell’associazione “Lungo la rotta balcanica”, ha parlato della situazione della Grecia, denunciando un ruolo attivo dell’agenzia europea Frontex nei respingimenti alla frontiera dell’Evros, e ricordando i numerosi attacchi condotti da gruppi fascisti nei confronti dei profughi che vivono nei campi. Carlotta Giordani, di Sos Diritti Venezia e Rete dei porti adriatici, ha infine denunciato episodi di respingimenti collettivi anche dal porto di Venezia, e il progressivo restringimento del sistema di accoglienza veneziano con la chiusura, il 31 dicembre scorso, del centro Darsena, uno dei primi a entrare nel sistema Sprar in Italia, che accoglieva soprattutto donne e minori.
La registrazione integrale della presentazione del dossier è disponibile sulla pagina Facebook di Mediterranea Saving Humans.