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La denuncia di Enzo Palmesano: “Io cronista licenziato dal clan, ho vinto ma sono ancora solo”

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“Non ho mai pensato di lasciar perdere. Se scopro qualcosa, può scendere anche Dio dal cielo per dirmi di non pubblicarla, ma io vado avanti. L’unico modo per fermarmi è spararmi un colpo in testa e prendersi un ergastolo”. Nelle parole pronunciate all’AGI da Enzo Palmesano c’è la forza di chi, da anni, contrasta i poteri criminali in provincia di Caserta attraverso il suo lavoro di giornalista. La sua vicenda comincia all’inizio degli anni 2000, quando da collaboratore esterno del Corriere di Caserta conduce una serie di inchieste sul clan Lubrano di Pignataro Maggiore, imparentato con i Nuvoletta (con un ruolo nell’omicidio del cronista Giancarlo Siani), federato attraverso questi dei Corleonesi di Totò Riina. Dopo una serie di intimidazioni e tentativi di screditarlo, il boss Vincenzo Lubrano chiede a un suo uomo, il nipote acquisito, Francesco Cascella, di andare a parlare con il direttore del giornale per impedire a Palmesano di continuare a scrivere. Il cronista è licenziato. I fatti sono emersi in alcune intercettazioni, nelle quali Lubrano minaccia anche di far fare al giornalista la stessa fine di Siani, e sono stati messi nero su bianco nella sentenza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, confermata con il verdetto della Corte d’Appello di Napoli che condanna Cascella.  Nonostante le pronunce della magistratura, Palmesano continua a sentirsi isolato e abbandonato dalla sua categoria e dalle istituzioni. “Ti trovi a combattere da solo contro il mondo – spiega – la mia è stata una traversata nel deserto durata tantissimi anni e la responsabilità non è solo della camorra, ma anche di chi si volta dall’altra parte, non vuole parlare di queste cose e, così, dà man forte ai poteri criminali”. Per questo Palmesano due giorni fa ha inviato una lettera aperta al presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna. “Vista la gravità della situazione attendevo una telefonata, ma al momento non ho avuto risposte – sottolinea – dopo quasi 20 anni, cosa si aspetta per prendere posizione? Aspettiamo che ci scappi il morto?”. Nel frattempo, la lettera di Palmesano ha sortito un primo effetto. Il presidente della Federazione nazionale della stampa, Giuseppe Giulietti, ha chiesto al Comitato per la tutela dei giornalisti minacciati della commissione Antimafia che il collega venga ascoltato. “E’ un passo importante – evidenzia Palmesano – perché in provincia di Caserta la situazione è un inferno ed è opportuno che la commissione dedichi un’audizione e venga in missione per vedere ciò che accade qui. Se non si interviene subito, scompariranno tutte le voci libere”. Non è solo un problema professionale, chiarisce, “ma una questione di democrazia” e quindi “riguarda anche la politica e le istituzioni. La criminalità opera in un circuito imprenditoriale, politico e massonico e, in questo modo fa rete, mentre il giornalismo no”. “Ho chiesto conto ai camorristi costituendomi parte civile nel processo, ma ora è il momento che l’Ordine dica se vuole prendere posizione e schierarsi dalla parte di un iscritto che ha rischiato e rischia ancora, insieme con la sua famiglia”, aggiunge. Ai tanti colleghi che vivono una situazione analoga alla sua, Palmesano chiede di non mollare e trovare la forza di andare avanti, perché “l’unica cosa di cui si può avere paura è la paura stessa”. “Chi cede – riflette – lo fa perché si sente solo. La solitudine è la cosa più brutta, soprattutto quando per anni nessuno ti telefona o ti chiede di andare a prendere un caffè perché non vuole farsi vedere con te. Serve grande forza morale per fare questo lavoro in territori così difficili”.


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