Il rischio di un falso si aggira per l’Europa, anzi per il mondo. L’insegue una lettera di 122 intellettuali per prevenirlo o smascherarlo.
La questione è delicata, molto delicata, perché il rischio è legato ad una definizione proposta dall’ IHRA . IHRA sta per International Holocaust Remebrance Alliance ovvero Alleanza per il Ricordo della Shoa; la definizione riguarda il concetto di“antisemitismo”adottata dall’Assemblea plenaria dell’IHRA a Bucarest il 26 maggio 2016.
Non v’è dubbio che l’ antisemitismo (nelle versione corrente – ma tornerò su questo tema – di antiebraiicità) è la più abietta e miserabile forma di quel miserabilissimo fenomeno che è il razzismo. Perciò va avversato fermamente su tutti i piani compreso ed anzi a partire da quello culturale.
A scanso di equivoci, in premessa al ragionamento che proverò a sviluppare dichiaro la mia posizione. Ho molta considerazione ed un gran rispetto per l’Ebraismo e per la sua storia plurimillenaria. Amo gli Ebrei oltre che perché sono una popolazione che a causa della ignoranza umana è stata discriminata e perseguitata per oltre duemila anni anche per un motivo del tutto personale: per i primi dodici anni della mia vita, ho trascorso quotidianamente almeno qualche ora in una famiglia di religione ebraica che abitava nel mio stesso palazzo ed alla quale la mia era legata da una forte amicizia. La fuga da Napoli dopo il primo bombardamento delle fortezze volanti statunitensi ci separò. In seguito di quella famiglia di 11 persone 9 passarono per i camini nazisti. Questo ha provocato in me una ferita la cui cicatrice è ancora dolente. Ciò non mi impedisce nel conflitto tra lo Stato Israeliano ed il Popolo Palestinese di stare a fianco dei Palestinesi che sono la parte soccombente;ma nulla mai può portarmi su posizioni antiebraiche.
Il punto è questo: Ebrei ed Ebraismo sono una cosa ed Israele un’altra. Vi sono legami e relazioni tra le diverse entità ma non vanno confuse. Anzi, guai a confonderle.
E’ per tentare di dare un contributo a tenerle distinte che scrivo questo articolo.
La dichiarazione dell’IHRA comincia così: < L’Antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei>.
Già in questo incipit c’è qualcosa da eccepire. In esso si assume che Semiti siano solo gli Ebrei Ma non è così. Basta andare su wikipedia per scoprire che “Semiti sono tutti i popoli che parlano, o hanno parlato, lingue collegate al ceppo linguistico semitico)> e che<I popoli semitici sono suddivisi in tre gruppi: Semiti orientali,cioè Assiro-Babilonesi (o Accadi); Semiti nordoccidentali, cioè gli Amorrei del III-II millennio poi suddivisi in Cananei (Fenici, Ebrei e altri) e Aramei; Semiti sudoccidentali, cioè gli Arabi (dialetti nordarabici e sud arabici) e gli Etiopi>.Anche i Palestinesi sono semiti.
Ma tutto ciò la definizione lo ignora, di tutti gli altri popoli non tiene conto; tacendone ne nega l’esistenza. E ciò riporta a quanto avvenne alle origini dello Stato di Israele, i cui fautori sostenevano che la Palestina fosse <un territorio senza popolo per un popolo senza terra>. Ma non era vero. Che quella ebraica fosse una popolazione senza terra effettivamente rispondeva a verità ma che la Palestina fosse disabitata no: era abitata dai Palestinesi e vi sorgevamo città fiorenti e centinaia e centinaia di villaggi, tanto che nella Nakba (la catastrofe del ’48) ne furono distrutti oltre 500 proprio dai fautori dello Stato Israeliano. (Si legga in proposito il volume La pulizio etnica della Palestina dello storico israeliano Ilan Pappe, che costò all’autore l’esclusione da tutte le Università israeliane).
Dunque questa accezione dell’Antisemitismo fatta propria dall’IHRA è a dir poco riduttiva ed il fatto che corrisponda alla vulgata corrente non la rende né innocua né innocente e non semplifica le cose.
La definizione prosegue:<Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto>. L’inserimento di “o non ebrei” non chiarisce alcunché. Sembra messo a bella posta per prevenire rilievi, ma confonde le idee e non corregge l’identificazione fra Ebrei e Semiti.
La definizione è corredata di una guida interpretativa. E’ in questa, o meglio nell’uso che se ne può fare, che sta il rischio del falso., dal momento che il Governo Israeliano tende da sempre a non distinguere ma anzi a sovrapporre sino ad identificare Ebraismo e Sionismo, Mondo Ebraico e Stato Israeliano. Eppure anche nell’Ebraismo vi sono posizioni articolate, come nel Sionismo vi sono molte versioni tra le quali vi sono anche differenze marcate: uno infatti è il Sionismo dei redattori della “Dichiarazione della Fondazione dello Stato di Israele” che recita tra l’altro che <Lo Stato di Israele …. garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite> (il che è ben lontano dall’essersi avverato); uno è il Sionismo di Martin Buber che raccomandava di guardarsi dal costituire uno Stato etnico e religioso; un altro è il sionismo di Ben Gurion, fondatore dello Stato di Israele; altro ancora quello di chi ha redatto la Legge approvata dalla Knesset il 19 luglio del 2018 che dichiara Israele Stato-Nazione degli Ebrei, facendone definitivamente uno stato confessionale. Tanto che la newsletter di “Chiesa di tutti, chiesa dei poveri” del successivo 24 luglio scriveva, presumibilmente per la mano di Raniero La Valle, a proposito di questa legge che <è di tale portata da marcare una cesura nella storia che stiamo vivendo. Lo Stato di Israele, almeno nella sua veste uffi-ciale e giuridica, cambia natura. Si chiude definitivamente il sogno del sionismo di conciliare ebraicità e democrazia e si istituisce per legge la discriminazione: lo Stato è degli ebrei, e tutti gli altri – arabi israeliani e palestinesi, siano essi musulmani o cristiani – sono neutralizzati nella loro dimensione politica, cioè nella loro esistenza reale: non partecipano di ciò che, in democrazia, si chiama autodeterminazione, la quale è riservata al solo popolo ebreo, il solo sovrano>.
Nella Guida, nonostante che in essa si legga: < le critiche a Israele simili a quelle rivolte a qualsiasi altro paese non possono essere considerate antisemite>,il Governo Israeliano può trovare diversi appigli per accusare di antisemitismo chiunque avversi la sua politica, dal momento che vi si afferma che <nelle manifestazioni (di antisemitismo) potrebbero includersi campagne contro lo Stato di Israele, concepito come una collettività ebraica>. E’ da questa concezione dello Stato che muove l’accusa di antisemitismo a qualsiasi critica alle sue politiche. Avviene così per la Campagna Internazionale Boicottaggio Disinvestimenti e Sanzioni (BDS). Invocando strumentalmente la giusta qualificazione di antisemitismo per le azioni in danno alle proprietà di persone di religione ebraica, senz’altra motivazione che quella di essere di proprietà di Ebrei, che il Governo Israeliano ha fatto pressioni ed ancora ne fa sui Governi di molti altri Paesi perché pongano fuori legge BDS. Il quale però non propone il boicottaggio contro Israele in quanto <collettività ebraica> bensì come Stato che illegalmente occupa dal 1967 la Cisgiordania ed assedia dal 2005 la Striscia di Gaza , ha disseminato la Cisgiordania di colonie che l’articolo 8 dello Statuto della Corte Penale Internazionale rubrica come crimini di guerra. Tanto che la Quinta Sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) di Strasburgo, nella sentenza dell’11 giugno scorso ha decretato che <Criticare Israele e chiedere il boicottaggio dei suoi prodotti non è antisemitismo, ma libertà di espressione e che le campagne a favore del boicottaggio dell’economia israeliana rientrano nel legittimo esercizio della libertà di espressione secondo quanto stabilito dall’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e sono <un’espressione politica e militante che tocca una questione di interesse pubblico>.
Ecco perché 122 <accademici, giornalisti e intellettuali palestinesi e a-rabi> sono scesi in campo con una lettera che sta girando per il mondo intero, nella quale prendono posizione <riguardo la definizione di antisemitismo da parte dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) e il modo in cui questa definizione è stata presentata, interpretata e applicata in diversi Paesi d’Europa e del Nord America.
Negli ultimi anni la lotta contro l’antisemitismo è stata sempre più strumentalizzata dal governo israeliano e dai suoi sostenitori nel tentativo di delegittimare la causa palestinese e mettere a tacere i difensori dei diritti dei palestinesi.> Dopo avere sottolineato che <Sviare l’indispensabile lotta contro l’antisemitismo per favorire un tale programma minaccia di svilire questa battaglia e quindi di screditarla e indebolirla> affermano che <Rivolgere indistintamente l’accusa di antisemitismo contro chiunque consideri razzista l’attuale Stato di Israele, nonostante l’effettiva discriminazione istituzionale e costituzionale su cui si basa, equivale a garantire a Israele l’impunità assoluta. Israele può così deportare i suoi cittadini palestinesi, revocarne la cittadinanza o negare loro il diritto di voto, ed essere comunque immune dall’accusa di razzismo.>
E’ nel modo con cui è stata presentata, interpretata ed applicata la definizione dell’ IHRA che Israele – Stato che ha superato le 87 Risoluzioni di condanna dell’ONU collezionate sino al 2015 – cerca di continuare a godere dell’impunità di cui si è avvalso sinora per continuare a negare la possibilità che i Palestinesi abbiano uno Stato proprio e vivano in libertà su quella parte della Palestina che ha loro assegnato l’ONU.
E’ questa impunità che non deve essere più consentita. Per questo la Lettere dei 122 va sostenuta.