Maggioritario, maggioritario! Torna il ruggito in favore della legge maggioritaria. La tesi dei vari sostenitori, tra i quali Paolo Mieli, è sempre la stessa: il sistema elettorale maggioritario affida direttamente ai cittadini il potere di scegliere il partito o la coalizione che governerà.
Anzi gli elettori indicando sulla scheda il presidente del Consiglio, precisa l’ex direttore del ‘Corriere della Sera’, decidono il governo e la sua guida subito dopo l’apertura delle urne. Così Mieli sollecita Pd e M5S, i principali partiti del governo giallo-rosso, ad approvare una legge maggioritaria gettando a mare i progetti del proporzionale. E’ l’inno alla “religione” del maggioritario cara ai fondatori della Seconda Repubblica.
La legge maggioritaria, però, in passato ha fallito. Non ha assicurato la stabilità, ha ridotto la rappresentanza politica popolare ma non ha eliminato i vituperati micro partiti. Con la tesi di restituire «lo scettro agli elettori» la Seconda Repubblica nel 1994 diede un calcio al sistema proporzionale e imboccò la strada del maggioritario. In quasi trent’anni, dal 1994 ad oggi, si sono succedute ben quattro diverse leggi elettorali ma sempre di carattere maggioritario: Mattarellum, Porcellum, Italicum e Rosatellum. Le quattro leggi elettorali non hanno portato alcuna stabilità politica.
Le scelte degli elettori sono state smentite e i governi usciti dalle urne o sono cambiati o addirittura capovolti. Il primo esecutivo di centro-destra guidato da Berlusconi (1994) cadde e lasciò il passo a un ministero tecnico diretto da Dini e sostenuto dal centro-sinistra. Il primo governo Prodi di centro-sinistra entrò in crisi (1998) e fece spazio a uno presieduto da D’Alema appoggiato anche da forze proveniente dal centro-destra. Prodi, con il suo secondo esecutivo di centro-sinistra, fece di nuovo naufragio (2008) e l’Italia andò alle elezioni anticipate. Il quarto ministero Berlusconi di centro-destra affondò (2011) e passò la mano a un governo tecnico di larghe intese presieduto da Monti.
I fallimenti sono continuati. Enrico Letta diede vita a un governo di grande coalizione con il centro-destra (2013) perché il centro-sinistra non aveva la maggioranza in Parlamento per governare ma poi dovette cedere Palazzo Chigi al compagno di partito Renzi (2014). Nelle elezioni del 2018 nessuno vinse, ma il boom dei cinquestelle generò il tripolarismo affondando il bipolarismo. Conte è il protagonista della Terza Repubblica populista: l’“avvocato del popolo” prima presiede un governo grillo-leghista e poi un secondo ministero basato su un accordo cinquestelle-democratici. Ma ora anche il Conte due traballa e rischia di schiantarsi come il Conte uno.
Mattarellum, Porcellum, Italicum e Rosatellum (come i giornali hanno battezzato le varie leggi elettorali maggioritarie usando nomi da latino maccheronico) hanno fallito perché la stabilità politica non può essere assicurata da meccanismi d’ingegneria elettorale ma solo da una compattezza politica e da una leadership autorevole. Anche l’uso dell’emergenza Covid-19 come “stampella” non basta.
Nella Prima Repubblica egemonizzata dalla Dc i governi potevano cambiare spesso ma la stabilità politica era assicurata. De Gasperi, Fanfani, Moro, Andreotti furono presidenti del Consiglio di governi centristi, di centro-sinistra e di unità nazionale. Il cambio di alleanze con i partiti laici, il Psi e il Pci permise anche di superare gravissime stagioni di crisi. Con il proporzionale allora c’erano in Parlamento 7-8 partiti, nella Seconda Repubblica maggioritaria siamo invece arrivati perfino a 40.
Il governo indiano nel Forum economico di Davos del 2006 affisse dei provocatori manifesti: «15 anni, 6 governi, 6 per cento di crescita annua del Pil». L’India, la più grande democrazia del mondo, aveva anche governi di breve durata ma contava su un ritmo di sviluppo travolgente: come l’Italia della Prima Repubblica basata sui partiti di massa e il proporzionale.