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Gli effetti nefasti della chiusura prolungata delle scuole

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C’è da essere esterrefatti. Come non capire che questa chiusura prolungata delle scuole è un vero e proprio crimine perpetrato ai danni dei ragazzi? I cui effetti si fanno sentire già da molto, ma continueranno a farsi sentire per anni, molti anni? Non bastano gli studi e le indagini e i report che in mezzo mondo hanno documentato le conseguenze negative della chiusura prolungata della scuola non solo sull’apprendimento, ma sulla salute fisica e mentale di una intera generazione, conseguenze più pesanti su coloro che già soffrono gli effetti di fragilità individuali, familiari, sociali? Non sono sufficientemente chiare le immagini dei ragazzi che si sfogano negli scontri tra bande nelle nostre piazze, a Napoli come a Parma?

L’Italia, tra tutti i Paesi, è quello che ha tenuto le scuole chiuse più a lungo. Certo, è la cosa più facile da fare, non richiede ristori, se non quelli che si renderanno necessari negli anni a venire per tentare almeno un parziale recupero di quanto si è perduto. Resta arduo comprendere per quale motivo la scuola sia considerata meno essenziale di una fabbrica o di un’attività commerciale. E ancora più difficile capire per quali motivi non si sia capaci di articolare una risposta flessibile, adattata ai contesti, che tenga conto delle diversità delle situazioni, epidemiologiche, logistiche, dei trasporti, preferendo la facile via delle limitazioni uguali per tutti all’interno di territori molto diversi anche all’interno di una stessa regione. Per quale motivo non si pensi ad esempio a chiusure a settimane alterne, o a turni di presenza limitati a metà classe, o a qualche altro tipo di proposta che limiti il numero di ragazzi in circolazione, com’è opportuno, ma dia loro una qualche certezza su quando e come potranno rientrare non alla loro scuola, ma alla loro vita. Perché di questo si tratta. A che serve l’autonomia scolastica, se poi non si consente a tanti istituti che si erano organizzati per bene ad agire, magari con un adeguato monitoraggio a campione degli eventuali contagi?

In realtà le ragioni di questo disastro sono evidenti e si collocano su due versanti.

Da una parte, a monte, nel decisore politico, ma anche nella componente tecnica che lo consiglia, manca una equilibrata valutazione dei rischi. Di questi rischi si è valutata la dimensione sanitaria, la dimensione economico-sociale, ma non quella educativa, sociale e anche sanitaria che riguarda i nostri ragazzi. Perché manca chi la rappresenti adeguatamente dove si prendono le decisioni. I pediatri, su questo aspetto, si sono fatti sentire troppo poco, anche se non sono mancate prese di posizione, raccomandazioni, proposte, da parti molto qualificate ma minoritarie. Perché nemmeno il Consiglio dell’Ordine degli psicologi, che su questo tema ha lavorato e sta lavorando, è rappresentato tra i decisori, che tutt’al più ne raccolgono il richiamo a una maggiore accessibilità di questa specifica competenza all’interno degli istituti.

Dall’altra parte, a valle, non riesce, se non in alcune parti d’Italia (a testimonianza che si può fare) a organizzare quel lavoro intersettoriale, tra autorità sanitarie, istituzioni educative e scolastiche, amministrazioni, agenzie di trasporto, terzo settore, associazioni di genitori, che solo può garantire che si trovino soluzioni ragionevoli, che concilino la prevenzione di popolazione con diritti essenziali quali quelli alla socialità e all’apprendimento dei ragazzi.

Le comunità dovrebbero, anche a prescindere dall’attuale situazione di crisi e di emergenza, essere più consapevoli dell’importanza decisiva della scuola. La protesta di alcuni genitori e di tanti ragazzi in questi giorni è sacrosanta, ma dovremmo levarci tutti a loro sostegno.

*pediatra e presidente del Centro per la Salute del Bambino


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