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Giornalisti e tv fuori dai processi alla criminalità organizzata nell’era digitale. Il racconto che ci stiamo perdendo

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Raccontare “Rinascita Scott”, il padre di tutti i processi di ‘ndrangheta senza immagini, nel 2020, nell’era digitale, nel tempo in cui se non vedi non credi e dove tutto viene seguito in diretta, persino gli assalti al cuore della democrazia americana. Ma non questo processo. Perché? Non si sa con esattezza. C’erano troppe richieste di tv di tutto il mondo. Sarebbe stata questa la considerazione alla base della decisione assunta dal Tribunale. Se la ‘ndrangheta calabrese è considerata una holding criminale tra le più importanti, temute, ricche e rispettate del mondo è consequenziale che tutti i media vogliano seguire quel processo. I numeri di questo dibattimento hanno fatto il resto: 325 imputati, 400 capi di imputazione, quasi altrettanti avvocati; si sta verificando se esisteva una stretta connessione tra la mafia della Calabria, ossia una delle Regioni a più basso reddito d’Europa, e i colletti bianchi, accusa sostenuta dal Procuratore della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri, uno dei magistrati più esposti. E di tutta questa storia non resteranno immagini. E’ possibile? Sì lo è e non c’entra nulla il covid, per quanto la pandemia sia stata uno schermo ulteriore per molti processi importantissimi tuttora correnti in decine di Tribunali italiani. La storia di Rinascita Scott ha riportato prepotentemente alla ribalta la condizione generale in cui si svolgono molti dibattimenti di processi che descrivono la storia, la geografia e l’assetto socioeconomico dell’Italia. Il diniego all’ingresso delle telecamere, stigmatizzato invano dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana nonché dal coordinatore del comitato per i cronisti minacciati della Commissione Antimafia Walter Verini, potrebbe essere la cartina di tornasole, il punto di non ritorno di ciò che sta accadendo alla cronaca giudiziaria italiana. Forse questo processo, più di altri, può ricordare a tutti cosa significa rinunciare a raccontare la mafia a tutto tondo, dunque anche con l’ausilio delle immagini. Se non ci saranno riprese nell’aula di Rinascita Scott i più felici saranno gli imputati, la mafia non vuole i riflettori né le telecamere e se possibile nemmeno i giornalisti. E’ ciò che si sta facendo. Se vogliamo o dobbiamo restare ai casi più famosi basta non lasciare la Calabria, dove la Corte d’Appello di Catanzaro ha negato l’accesso a Radio Radicale nel processo di secondo grado di “Toghe Lucane”, un altro procedimento scomodo sul quale è meglio non fare rumore. La motivazione in questo secondo caso è stata il rispetto delle norme anti covid ma è evidente che l’ingresso di un solo operatore della radio, munito di mascherina, non avrebbe cambiato in nulla il livello di sicurezza di quell’aula. Dunque si può parlare di una scusa, o di un pretesto o di una rinuncia, chi lo sa? Nulla di cui stupirsi più di tanto. Ma molto di cui preoccuparsi, questo sì. Ogni giorno in molte aule giudiziarie italiane i giornalisti sono esclusi nonostante si tratti di fasi che il codice prevede come pubbliche. In un dibattimento normale se uno solo degli imputati chiede che non vi siano riprese, per rispetto della privacy le telecamere vengono escluse e a nulla vale la rilevanza dell’interesse pubblico di un processo. E sono momenti giudiziari in cui può avvenire di tutto. Alcuni reati o atteggiamenti tipicamente mafiosi, gravissimi, si esplicano proprio durante i dibattimenti. Imputati che mandano baci, messaggi cifrati o si esibiscono in gesti simbolici diretti agli associati che, loro sì, liberamente, possono stare in aula e recepire. Un paradosso che si consuma ogni giorno sotto gli occhi di tutte le parti che stanno nei processi, compresi i giornalisti ammessi senza l’uso di strumenti audio e video. Michele Zagaria, considerato tuttora il capo del clan dei casalesi, quando si collega con l’aula del Tribunale di Napoli nord spesso interviene nei videocollegamenti e “parla” ai suoi in modo cifrato. Si ipotizza che in questo modo mandi messaggi a coloro che sono fuori e che possono stare legittimamente in quell’aula. Di recente una sua frase è stata oggetto di valutazione per gli investigatori che seguono la pista di una possibile guida del clan da parte del capo anche dal regime detentivo. La frase è questa. “Rispetto i miei coimputati” proferita dal boss durante un’udienza in Corte d’Assise. Lui nega. “Mai mandato messaggi a nessuno”. Può essere. Ma il clan non ha un altro comandante e un’azienda criminale del livello del clan dei casalesi non può stare senza un manager. Non si sa quanto del racconto dei processi di mafia ci stiamo perdendo ma tutto ciò che non stiamo registrando ci mancherà nella ricostruzione di cosa è accaduto a questo Paese e alle sue istituzioni. E l’assenza di telecamere nei processi di mafia vistosi come Rinascita Scott o dimenticati come quello a Zagaria è un altro “favore” alla criminalità organizzata. Involontario certamente. Ma tale resta.


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