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Gioacchino Criaco. ‘L’Ultimo Drago d’Aspromonte’

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La fiera, attorniata dai suoi cuccioli, sfida con gli occhi il “drago” che si staglia sulla collina fra alberi rinsecchiti mentre uno stormo di uccelli attraversa il cielo. Il disegno a doppia pagina di Vincenzo Filosa è il degno commento alle parole dello scrittore Gioacchino Criaco. “Cerco di cancellare tutto quello che ho visto, canto la filastrocca che mamma mi aveva insegnato per cacciare i draghi dalla mia stanza.” La prendo alla lontana prima di affrontare il suo L’Ultimo Drago d’Aspromonte (Rizzoli Lizard, pp.191, euro 18). Dodici anni fa mi capitò di invitare Criaco a Milano per presentare il suo Anime nere, su cui avevo scritto per un quotidiano calabrese. Dopo la strage di Duisburg i mass media avevano iniziato a dedicare più attenzione verso quella che viene considerata la più pericolosa tra le organizzazioni criminali mondiali, la ‘ndrangheta.  Apparvero libri e articoli sulla più sconosciuta delle mafie italiane. Fatta eccezione infatti per gli studi specialistici di addetti ai lavori e alcuni romanzi rimasti pressoché sconosciuti al grande pubblico, nulla era apparso di significativo negli anni precedenti al 2007, l’anno della strage. A nessuno importava veramente della Calabria, terra martoriata, difficile da comprendere e, dunque, da lasciare al proprio destino.

Tuttavia, alcuni mesi dopo l’eccidio in terra di Germania ad opera delle ‘ndrine di San Luca (RC), apparve sulla scena editoriale italiana questo calabrese di Africo, che si cimentava in un romanzo dalle forti ambizioni. Ben prima che uscisse in libreria, un certo battage pubblicitario della sua casa editrice, la Rubbettino, aveva richiamato l’attenzione su Anime nere, che per la vicenda personale dell’autore (suo padre era stato assassinato e il fratello Pietro ricercato dalle forze di polizia), per la storia del suo paese (di cui aveva scritto Corrado Stajano nel famoso Africo) e per la trama molto verosimile, sembrava avere tutte le caratteristiche per diventare un vero e proprio caso. Criaco nel libro raccontava una storia “solo frutto di fantasia”, ma che si intuiva invece ispirata da fatti veri, scritta da chi sembrava conoscere bene le vicende e gli uomini di una terra senza pace. I protagonisti del romanzo ci conducevano attraverso gli ultimi decenni del secolo scorso nei santuari della criminalità calabrese in forte ascesa. Dai sequestri alla droga e alle armi, dalla pastorizia all’imprenditoria, dai boschi alle metropoli, il loro era un viaggio spietato, segnato dal sangue, che faceva emergere un quadro desolante della Calabria e dell’intero paese. Capivo l’importanza storica del libro, ma non lesinavo critiche anche dure, perché avevo avuto l’impressione di poca cura letteraria del testo.

A distanza di anni, invece, riconosco il valore del lavoro culturale fatto da Gioacchino Criaco, non semplice scrittore, ma uomo impegnato in un’intensa operazione di emancipazione della Calabria. Il successo dei suoi libri anche all’estero, come quello dell’omonimo film Anime nere, girato da Francesco Munzi in collaborazione con lo stesso Criaco, nonché le varie iniziative che lo scrittore ha messo in campo per far conoscere questa complessa regione, lo testimoniano. “L’Aspromonte è la madre di quelli di qua, pure lei femmina, Aspru e Oscia, Lucente e Ombra, aspro, ostile, lo è per chi non lo conosce, per i forestieri, per quelli che nel passare dei secoli sono venuti a conquistarlo.” Dopo altri romanzi – Zefira, American Taste, Il saltazoppo, La maligredi –  ecco ora L’Ultimo Drago d’Aspromonte, libro non facilmente definibile (fiaba nera, romanzo illustrato?) in cui lo scrittore prova a fare i conti con la problematica maturazione di un uomo che sceglie di vivere in un territorio difficile.

L’Aspromonte è luogo di grandi boschi e di acque impetuose, di esseri in bilico tra l’umano e il ferino. Il romanzo è una sorta di bildungsroman che narra la vicenda di Nì, un tossicodipendente che sale in montagna in una isolata comunità di recupero. Il giovane, dall’infanzia difficile, si insedia poi in una piccola casa nel bosco, a breve distanza da un villaggio dove si sono rifugiati uomini e donne alle prese con un passato problematico: “Peccatori, in questa montagna ci sono solo peccatori.” L’isolamento che accerchia Nì, gli dà anche la forza di (ri)scoprire se stesso. Si mette a girovagare per quelle lande sperdute e vi incontra vecchi pastori coi loro greggi, animali, alberi e piante di ogni genere. Inizialmente timoroso, impara a conoscerli e rispettarli, siano essi cinghiali, ghiri, gufi, civette o volpi. Le creature del giorno e della notte gli parlano, con loro stabilisce un rapporto intenso, come con il porco sfuggito alla macellazione o con il capro bianco, ma anche gli alberi e le piante hanno qualcosa da dirgli. E lui ascolta, perché vuole un segnale per la rinascita. Scoprendo poco alla volta il lato misterioso di quella natura non teme più i fitti boschi, i tumultuosi torrenti, né gli spaventosi dirupi. Entra in comunione con l’Aspromonte, acquisisce consapevolezza di sé e individua una strada per la sua vita.

Credo che in questo piccolo (per formato) ed elegante libro (per fattura) Criaco abbia raggiunto la definitiva maturità letteraria, evidente nell’equilibrio sapiente tra vicende narrate e lingua, consapevole del ruolo di scrittore che vuole parlare al mondo intero pur muovendo da un luogo che appare quanto di più distante vi possa essere dalla frenetica modernità. L’Ultimo Drago d’Aspromonte è illustrato da tavole in bianco e nero che sposano delicatamente le parole ai disegni, evocando naturaliter luoghi, animali e personaggi. Non è casuale che al progetto di Criaco compartecipi un conterraneo come Filosa, disegnatore di valore. Nel suo commovente graphic novel, Italo, egli narra la storia di un altro calabrese tormentato, dipendente dai farmaci e dai dilemmi della vita, che ritorna nella terra natìa per dare nuovo senso alla propria esistenza. Perché come scrive Criaco “Passiamo una parte della vita/ a disperdere ogni cosa/ e tentiamo, nell’altra parte,/ di rimettere tutto a posto.”


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