BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

E’ solo Report oramai che parla di mafia

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Dell’Utri disse: “Non so nulla della Mafia, ne ho sentito parlare dai giornali e dalla TV, come chiunque altro”. Sciacallaggio. E’ solo sciacallaggio. E’ arrabbiato, anzi arrabbiatissimo il giovane avvocato andreottiano, illuminato, che quando c’era lui…. “Ma quale mafia! Questa è una nazione di gente onesta che vive nel rispetto della legge. Informatevi, guardate. E’ Report che s’inventa la mafia per far crescere gli ascolti. Eppure, ecco, ci infangano. Tutta colpa di Report che ha distrutto la nostra immagine in tutta Italia. E continua Sigfrido Ranucci in cerca di visibilità. Ma ora basta. Lo dico con coraggio: in Italia non c’è la mafia. Le bombe, le stragi ? Roba da poco. Droga e appalti ? Non è mafia. Tutti questi sospetti sono ingiusti. E’ solo Report oramai che parla di mafia. Dunque non esiste. Se nessuno vede nè sente nulla la mafia non c’è. Paura ? E di chi? Borrometi ? Federica Angeli ? Lirio Abbate ? Sandro Ruotolo ? Mitomani come Ranucci che creano un mostro che non c’è.  Sciacallaggio. Tutto sciacallaggio. Anche i morti? Insomma! Secondo me, bisogna scrutare altrove. Fava aveva delle donne. Borsellino aveva indagato dei costruttori. Falcone aveva pestato i piedi a dei colleghi magistrati. La resta un “enigma” per il mondo dell’informazione.

Charles Baudelaire sosteneva saggiamente che la più grande astuzia del diavolo fosse aver fatto perdere le sue tracce e far credere che non esistesse. Il nostro ex giovane avvocato subito direbbe che in difesa del diavolo, va detto che abbiamo sentito una sola campana. Dio ha scritto tutti i libri. E subito gli illuminati gli darebbero ragione. Ma anche chi ha qualche peccatuccio da temere. E dietro chi di peccati ne ha più di uno e bello grande e  sarebbe meglio se in effetti il diavolo non ci fosse.  E così diventa scomodo Report che ci ricorda l’inchiesta sulla trattativa Stato/Mafia.  Vanno subito delegittimati. Bisogna subito smentirli. Gridare allo scandalo. Grida, offendi, odia, maledici, qualcosa resterà. Ma è sempre più difficile per questi “negazionisti” . Non solo le vittime trucidate ma centinaia di testimoni oramai stanno li a dire che negare l’esistenza delle mafie è un grande errore che esse sfruttano sapientemente. Che servono comportamenti coerenti giorno dopo giorno, anche se questo può costare molti sacrifici specie in alcuni territori del nostro Paese. All’esimio avvocato dico che le mafie si muovono affinché non si riconosca la loro esistenza, che non se ne parli affatto o se ne parli poco, così da tenere il più lontano possibile le luci dei riflettori. Le nuove mafie crescono nella clandestinità e nell’ombra e vivono il territorio perfettamente mimetizzate. Personalmente diffido di chi sostiene la tesi per cui le mafie siano poco più di un fenomeno criminale ordinario. È bene stare molto attenti a questi individui e dalle loro argomentazioni esecrabili. Ricordo che la criminalità organizzata moderna vanta caratteristiche nuove e che nella sua versione globalizzata e transnazionale è oggi uno delle emergenze più critiche per la nostra società. Nonostante questo, tuttavia, visti i tanti soldi che girano e corrompono, ci sarà sempre qualcuno che dirà: “La mafia non esiste”! Non esistono le infiltrazioni mafiose. Non ci sono collusioni . Le interdittive antimafia sono basate sul nulla. Si vive ovunque in un’isola felice. E’ inutile fare informazione, prevenzione e contrasto. Report inventa storie. I giornalisti antimafia sono dei cerca guai. Quello della negazione, per cui le mafie non possono e non devono esistere, è un ritornello che torna a ripetizione, al momento giusto. Inutile spiegare che negarne l’esistenza e sottovalutarne il potere riducendolo a semplice fenomeno criminale è il più grande favore che si possa fare alle mafie. Il grande lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura è spesso inficiato proprio dalla sottovalutazione che la società civile e gli avvocato illuminati finiscono per riservare nei confronti dei poteri mafiosi, come se negando riuscissimo a estrometterli dai nostri territori.

“La mafia non esiste” era il ritornello con cui negli anni ’70 i politici democristiani in Sicilia irridevano i non molti che denunciavano il crescente intreccio di potere tra Cosa Nostra e politica. “La camorra non esiste”  è l’arrogante frase usata per irridere Roberto Saviano.  La delegittimazione è sempre stata, nella storia delle mafie, uno strumento molto potente e molto gradito alle cosche, con effetti a volte esiziali. Stupisce poco, anche se rattrista molto.

“La mafia non esiste”, in Abruzzo nonostante le 2.174 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare con cui il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Messina, Salvatore Mastroeni, ha scoperchiato il business dei pascoli. E dentro a quel fitto carteggio, a quel fascicolo da 30mila pagine di informativa, ci sono contratti falsi, appropriazioni di terreni fittizie, per far valere titoli e contributi comunitari, sulla pelle e le terre dei pastori abruzzesi. Una truffa di 10 milioni di euro, ma che, a sentire gli allevatori e chi il territorio lo vive, ha dimensioni molto più grandi: decine e decine di milioni di euro che solo in Abruzzo ogni anno, da troppi anni, vengono sottratti allo sviluppo e alla salvaguardia dell’economia agropastorale e zootecnica e ci sono i nomi e i cognomi dei mafiosi e, al fianco, quelli di una ventina di Comuni abruzzesi dove la mafia non esiste. La mafia non ha coppola e lupara, eppure esiste e sta consumando la linfa di un territorio troppo debole e troppo diviso, troppo poco lungimirante e politicamente troppo distratto.

“La mafia non esiste”, in quei territori dove la piccola criminalità con la loro particolarità in realtà agiscono per conto delle grandi mafie, fungendo da manovalanza  per quanto riguarda lo spaccio di droga. Tra questi contornano la scena: faide intense, cambi di fazione, ascese, gesti criminali, cruenti sparatorie, agguati notturni, tradimenti, minacce, torture. Le principali attività dei clan, oltre allo spaccio di droga, sono anche la ristorazione, il gioco d’ azzardo e l’usura, prostituzione, altre attività commerciali e dell’ambiente (le così dette “ecomafie”).

“La mafia non esiste” e  chissà, forse sarà stata tutta un’invenzione di Federica Angeli, giornalista sotto scorta per aver raccontato la storia sul clan Spada e sul clan Fasciani a Ostia. Sarà stata un’invenzione delle vittime di usura, delle vittime del racket. Non stiamo ad ascoltare le storie di questi ‘pazzi deliranti’!  La mafia non esiste. La mafia non esiste più. Almeno in Italia. Perché se esistesse, come sostengono alcuni giornalisti, i magistrati, i poliziotti, le associazioni antimafia e antiracket, di sicuro il dibattito politico sarebbe pieno di proposte, discussioni, idee sul contrasto ai clan e al crimine organizzato. Di conseguenza, la storia degli ultimi governi racconterebbe pagine e pagine di leggi, azioni, misure destinate a rendere imprescindibile, in ogni ambito e con ogni mezzo, la lotta alle mafie in tutto il Paese, quartiere per quartiere, città per città. Se la mafia esistesse ancora, la politica avrebbe messo al centro di ogni programma e confronto politico la lotta alla criminalità organizzata, in quanto priorità assoluta per un Paese intenzionato a rinascere e liberarsi dalla morsa del potere mafioso. La mafia dunque non esiste più, se è vero che tutto questo non si è visto e non si vede tuttora. Eppure, guardando la realtà senza i filtri appannati della classe dirigente attuale, le mafie non solo appaiono vive e vegete, ma sembrano sempre più organizzate, radicate, oppressive, sfrontate. In ogni area del Paese si fanno sentire, alzano la testa, gestiscono, manovrano, minacciano. Hanno eserciti di complici e professionisti più o meno insospettabili, hanno avvocati potenti che ne difendono i rappresentanti più attivi, hanno affiliati spietati che parlano e agiscono muovendosi con un inaudito senso di impunità. La galera è come sempre una prospettiva che si accetta e non spaventa, i territori sono campi di sterpaglie che, anche se ripuliti di tanto in tanto dall’azione della magistratura e delle forze dell’ordine, si ripopolano in fretta.

“La mafia non esiste”, anche se in almeno 4 regioni del Paese ci sono zone che sono invalicabili per un normale cittadino ma anche per una pattuglia della polizia o dei carabinieri. Le mafie, insomma, prosperano, trafficano, controllano la droga, le estorsioni, il gioco d’azzardo, si infilano sempre più dentro l’economia e la politica, spostano voti, favoriscono il sorgere di alcune attività imprenditoriali, controllano aziende, minacciano aree di pregio ambientale, superando con fiamme e incendi l’ostacolo di vincoli di riserva o di area a protezione speciale, gestiscono stabilimenti balneari, discoteche, luoghi di svago, inquinano il settore dell’agroalimentare.

Le mafie sono la minaccia perenne alla vita dei cittadini, anche quando non sparano come un tempo, anche quando sangue e polvere da sparo o esplosivo non macchiano quotidianamente le strade della democrazia. Eppure, non se ne parla. E se un programma come Report ne parla va delegittimato. Politicamente, nella infinita retorica che circonda il tema della sicurezza, non si nominano mai i clan, al massimo ci si limita  a commentare qualche sentenza, magari relativa al passato, come quella importantissima sulla trattativa Stato-mafia.  Per il resto nulla. E se un giornalista ne parla va minacciato. In un Paese che magari si riempie di ridicolo giustizialismo dinnanzi a un candidato destinatario di una semplice indagine per reati amministrativi o colpevole di un reato “politico” risalente a 50 anni fa, ma poi rimane molle, inerme di fronte al disinteresse del mondo politico nazionale rispetto a qualsiasi forma di lotta concreta alle mafie. Siamo talmente lontani dal percepire la criminalità organizzata come un problema centrale, che non riusciamo ancora a emarginare quei rappresentanti politici che, per salire al potere, praticano i soliti, antichi meccanismi dello scambio.  Da tempo, quando leggiamo informazioni che fotografano la condizione miserabile del nostro disgraziato paese, ci domandiamo il perché di questa deriva che diventa sempre più veloce e inarrestabile. E ci diamo molte risposte, ma sappiamo che nessuna può essere esaustiva.


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