Direttori e pensionati che, a loro dire, rappresentano “una fetta significativa della storia recente del giornalismo italiano” si appellano al Presidente della Repubblica per chiedere improbabili garanzie pubbliche per l’Inpgi e non per chiedere la tutela delle migliaia di giornalisti, ingabbiati in un precariato che, quello sì, sta pregiudicando il futuro della professione. Ma, forse, farlo avrebbe imposto a molti di loro una doverosa autocritica dato che nelle testate, giorno dopo giorno, redazione per redazione, sotto i loro occhi e con il loro sostanziale beneplacito la macchina dello sfruttamento macina e azzera i diritti più basilari.
Il comitato Precariato e sfruttamento: dignità del lavoro per salvare l’Inpgi, che in poco meno di due giorni è riuscito a raccogliere 1.000 firme di giornalisti – soprattutto precari e freelance, ma anche di precari diventati direttori, come Luciano Ceschia, o colleghe e colleghi, dipendenti o meno, in prima fila nella lotta alle mafie e alla criminalità da Amalia De Simone a Paolo Berizzi, da Sandro Ruotolo a Paolo Borrometi – ribadisce che sfruttamento, precariato ed egoismi stanno affossando la categoria. Non c’è previdenza senza lavoro regolare. Non ci saranno pensioni dignitose senza lavoro dignitoso. Chiediamo ai Direttori che vogliono vedersi assicurata la pensione di pretendere dagli Editori la regolarizzazione dei giornalisti sfruttati: che si chiamino cococo, false partite Iva o cronisti “a pezzo” già oggi sono alle loro dipendenze ma “mascherati” da lavoratori autonomi, con un danno sociale e previdenziale per tutti.
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