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Come il racconto delle migrazioni cambia la Storia

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Il messaggio che papa Francesco ha inviato per la 55° Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, che ha come titolo: Vieni e vedi (Gv 1,46). Comunicare incontrando le persone dove e come sono, dice qualcosa di ciò che come Centro Astalli, Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, cerchiamo di fare da anni: raccontare partendo da un incontro, non essendo solo voce, ma dando voce; raccontare per fare in modo che si possa coabitare nelle nostre città con persone di diverse culture condividendo i diritti di tutti e non solo raccontare per suscitare emozioni con le storie che si ascoltano.

Sembra all’apparenza qualcosa di semplice eppure ci pare che sia tutt’altro che comune nel mondo della comunicazione e dei social. Anche in questi giorni in cui i riflettori sono puntati sulla vicenda delle persone che cercano di giungere in Europa attraverso la rotta balcanica, vengono raccontate storie “notiziabili”, che colpiscono, che emozionano; storie che stanno bene sotto i riflettori ma appena questi si spegneranno le storie spariranno insieme ai protagonisti, perché queste persone non sono arrivate a coabitare i nostri spazi di vita, ad abitare le nostre preoccupazioni quotidiane ma semplicemente le hanno attraversate con la volatilità di una notizia che non ha corpo.

Ecco perché le persone che arrivano da altre rotte continuano a morire in mare senza che queste notizie abbiano cambiato le politiche. E sulla rotta balcanica l’ordinanza del Tribunale di Roma che ha sancito l’illegittimità della procedura di riammissione attuata al confine orientale italiano sulla base di un accordo siglato tra Italia e Slovenia nel 1996, mai ratificato dal Parlamento italiano arriva solo ora, ma dicendo di una prassi effettiva da lungo tempo.

Occorre arrivare a realizzare un racconto che sia frutto della responsabilità condivisa tra la società civile e i professionisti della comunicazione perché si inneschino reali processi di cambiamento: il racconto divenga vita condivisa e sia assunto dalla società civile come vita di una persona che ha una dignità e che aspetta di abitare al nostro fianco, in una casa che è casa comune.

Papa Francesco ricorda e ringrazia il coraggio e l’impegno di tanti professionisti – giornalisti, cineoperatori, montatori, registi che spesso lavorano correndo grandi rischi. È grazie a loro se oggi conosciamo, per esempio, la condizione difficile delle minoranze perseguitate in varie parti del mondo; se molti soprusi e ingiustizie contro i poveri e contro il creato sono stati denunciati; se tante guerre dimenticate sono state raccontate.

Infatti, quando incontri un giornalista lo capisci se ha guardato negli occhi un uomo e una donna rifugiati, se ha consumato le proprie scarpe seguendo la via che percorrono o i mari che solcano, perché vedono con occhi diversi, raccontano con parole diverse. Le loro parole possono segnare l’inizio di un cambiamento se e solo se ognuno di noi fa la propria parte riconoscendo che dietro un racconto c’è una persona che chiede vita.

Fonte: Huffington Post


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