Per età anagrafica Cecilia Mangini (31-7- 1927/21-1-2021) appartiene al Novecento. Lo ha attraversato partecipando ad ogni battaglia, eppure è come se il secolo breve l’avesse avuto sempre dietro alle spalle, tale il suo sguardo è sempre stato avanti, più avanti di tutti. Cecilia è ragazza del futuro
Lo è sempre stata e il suo cinema lo è tuttora. Più avanti di qualunque dei nostri documentari, anche di quelli che in pompa magna l’Italia sceglie per la corsa all’Oscar
Essere donne (’64). Cecilia l’ho conosciuta allora, quando quel suo film manifesto che metteva “contro” lo scintillio del boom economico e le donne in fabbrica, nelle campagne, sfruttate, era appena stato restaurato dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico a inizio Duemila (Paola Scarnati la “mandante”).
Da allora è nata la nostra amicizia, da allora è cambiato il mio punto di vista sul cinema, sul mondo. Perché con Cecilia era tutto un gran parlare, discutere, riflettere. Anche il suo essere di sinistra, socialista, con Gramsci nel cuore, infatti, non era mai dogmatismo, anzi il suo sguardo è stato da subito anticonformista, anarchico. È tutto un mettere in discussione. All’armi siam fascisti! (firmato con Lino Del Fra compagno di una vita e Lino Miccichè) è così esplosivo da essere il documentario più censurato della storia ed ora è visibile sulla piattaforma Amazon.
Lo sguardo di Cecilia è rivolto dall’altra parte della Storia. Verso gli ultimi, i diseredati. Eppure fuori da ogni retorica della miseria.
Dietro c’è la lezione di Ernesto De Martino, condivisa con il folto gruppo di documentaristi dei Cinquanta: Beppe Ferrara, Luigi Di Gianni, Michele Gandin, Gianfranco Mingozzi, Marco Leto, Vittorio De Seta.
Il mondo arcaico di Maria e i giorni (’59), per esempio, raccontato senza alcuno schematismo, ma anzi ad altezza donna. Maria contadina poverissima ripresa mentre fa i suoi scongiuri, i suoi riti magici, felicemente immersa nel suo mondo arcaico.
Stendalì (’60), i canti funebri della Grecia salentina, quel montaggio frenetico, ipnotico che rimanda alla lezione sovietica, come Felice Natale (’64), quasi una satira del consumismo sfrenato che affianca scene di spasmodico consumo natalizio ai polli spennati.
E i ragazzi di vita di Pasolini – da dove comincia con Ignoti alla città (’58) e La canta delle marane (‘62) – raccontati senza moralismi, nella loro vitalità senza volontà di redenzione. Senza La briglia sul collo (’74) come impone la scuola, invece, con le classi differenziali.
Quella ricerca di verità mai scontate che ha fatto grandissimo il cinema di Cecilia, la si vede da subito nel suo sguardo. Dagli scatti nelle saline di Lipari, da quello a Rutigliano, nel ’56, dove invece di fotografare il palco, fotografa il pubblico, quella massa compatta di braccianti e contadini vestiti a festa. Tra i quali non c’è neanche una donna.
C’è lei però a raccontarlo quel mondo senza donne. L’unica donna in un mondo di soli uomini (la prima documentarista in Italia) in cui tanto ha dovuto combattere, tanto più per quel suo anticonformismo eretico che caro le è costato.
Di censure e dannatio memoriae a cui è stata condannata (col suo Lino) per anni e anni, fino alla riscoperta a fine Novanta. Che l’ha portata nuovamente dietro alla macchina da presa, prima con Mariangela Barbanente (In viaggio con Cecilia) e poi con Paolo Pisanelli, per un sodalizio artistico lungo quindici anni, fatto di rassegne, tour ai maggiori festival internazionali e nuovi doc, tra memoria e presente (Le Vietnam sera libre, Due scatole dimenticate, Grazia Deledda, la rivoluzionaria, Il mondo a scatti).
E poi gli scrittori, Pier Paolo Pasolini – si è detto, Vasco Pratolini (la sua Firenze), Franco Fortini (in All’armi siam fascisti!) e soprattutto il più rivoluzionario: Gianni Rodari con la Torta in cielo (’63).
E i ritratti dei grandi del XX secolo: Elsa Morante, Curzio Malaparte, Federico Fellini, Charlie Chaplin, John Huston, Vasco Pratolini, Alberto Moravia.
“Il cineasta è come San Giorgio che uccide il drago con la lancia e libera la principessa” diceva Cecilia. “La lancia è il cineasta che con le immagini uccide il drago del conformismo. E il pubblico è la principessa salvata dalle convenzioni”.
Quante battaglie contro il drago ha fatto Cecilia col suo cinema. Il suo cinema del futuro, di ragazza del futuro. Anzi di ragazza dell’avvenire. E per dirla con Fortini, “
l’avvenire è già presente. Chi ha compagni non morirà”.
Ciao Cecilia