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Calabria di basso profilo. Cosa emerge dalla nuova inchiesta di Gratteri

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Nell’operazione della DDA di Catanzaro diretta da Nicola Gratteri c’è una figura non marginale che emerge dalle centinaia di pagine dell’inchiesta “basso profilo”. E’ quella del luogotenente della guardia di finanza, oggi a riposo, Ercole D’Alessandro, detto “Ercolino”. Per anni è stato collaboratore del giudice Giovanni Falcone e successivamente anche dello stesso Gratteri. Servitori dello Stato che spesso in Calabria anziché indagare sono oggetto d’indagine.

Un fenomeno emerso già in altre inchieste portate avanti dalla stessa Procura, come la più recente “Rinascita Scott”, di cui in questi giorni si celebrano le prime udienze nell’aula bunker di Lamezia Terme e dove ancora, lo ricordiamo, non sono state ammesse le telecamere per riprendere il dibattimento, nonostante le proteste di Federazione della Stampa ed Usigrai, in cui uomini dello stato, politici ed esponenti delle ‘ndrine si trovano in sodalizio per sfruttare i finanziamenti della pubblica amministrazione.

Appalti nella sanità e nel comparto dei lavori pubblici hanno sempre fatto gola alla criminalità organizzata che ha sempre cercato di corrompere politici e uomini delle istituzioni, giudici e forze dell’ordine. Ma da diverso tempo nelle inchieste è emerso un nuovo fattore, come ha sempre sottolineato in tutte le conferenze stampa lo stesso Gratteri, con la politica che sempre più cerca la criminalità organizzata per ottenere appoggi. Le intercettazione svelano questi contatti e richieste di voti che poi arrivano proprio da quelle zone dove è più alta la presenza delle cosche. Tuttavia potrebbe esserci ancora un salto di qualità, un terzo livello ancora più pericoloso.

Nell’inchiesta “Faust”, che ad inizio settimana ha sottoposto agli arresti domiciliari  il sindaco del comune di Rosarno in provincia di Reggio Calabria, Giuseppe Idà, emerge un fatto nuovo. Nel leggere le carte dell’inchiesta pare che sia stato il boss referente di Idà, a stilare programma, lista e simbolo, della compagine che ha vinto nel 2016 le elezioni e che stava per preparare al gran salto il suo candidato alle prossime elezioni regionali dell’11 aprile. E’ il segno che con lo sgretolamento dei partiti politici tradizionali e con l’impossibilità dei pochi partiti rimasti a produrre anticorpi per far fronte a qualsiasi tipo d’infiltrazione malavitosa, ecco spuntare un nuovo ed ancor più pericoloso fenomeno, la cosca che diventa essa stessa un partito.

Giuseppe Idà peraltro è anche vice segretario regionale dell’UDC stesso partito di cui è segretario regionale Franco Talarico, assessore al bilancio della Regione Calabria, da ieri anche lui agli arresti domiciliari a causa dell’operazione “Basso Profilo” che vede indagato anche il segretario nazionale (dimissionario) Lorenzo Cesa.

Un salto di qualità, quindi, delle cosche cui bisogna prestare attenzione. L’UDC era uno dei partiti che avrebbe potuto fornire quella stampella per far proseguire l’azione di governo. Sappiamo che la ‘ndrangheta è l’organizzazione criminale più potente che ha ramificazioni in tutto il territorio nazionale e sta occupando sempre più quel terreno lasciato libero dalla politica, oramai le Procure la chiamano “massomafia”. Sappiamo anche che sono in arrivo miliardi di euro di fondi europei che alle “massomafie” fanno gola. Per questo ci si chiede se la politica da tutto ciò che racconta la cronaca giudiziaria possa riscattarsi. A seguire il dibattito su programmi e liste per le prossime regionali in Calabria questa presa di coscienza sembra essere molto lontana, in attesa dei nuovi blitz delle procure.


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