Una svolta attesa da tempo si è finalmente compiuta grazie all’impegno di associazioni per i diritti umani e organizzazioni non governative impegnate nella campagna per il disarmo: l’Italia ha deciso di revocare, dopo 18 mesi di sospensione, l’export di missili e bombe d’aereo verso Arabia Saudita e Emirati Arabi fermando definitivamente le forniture d ordigni utilizzati nella sanguinosa guerra dello Yemen.
A darne per prima notizia la Rete Italiana Pace e Disarmo, secondo cui il provvedimento riguarda almeno 6 diverse autorizzazioni, tra cui la licenza MAE 45560 del 2016 emanata durante il governo Renzi (relativa a quasi 20mila bombe aeree della serie MK per un valore di oltre 411 milioni di euro).
La conferma ufficiale è poi arrivata dalla diretta voce del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che ha definito la decisione “un atto doveroso, un chiaro messaggio di pace che arriva dal nostro Paese”.
Una svolta significativa che arriva nelle ore in cui anche gli Stati Uniti annunciavano la sospensione dell’export di armi versoi paesi coinvolti nel conflitto in Yemen.
Ma bisogna essere realisti, fino a quando Gran Bretagna e Francia, e altri esportatori di armi, non faranno altrettanto, nulla cambierà. Solo un embargo globale può porre fine alla devastante guerra in corso da 6 anni nel Paese.
Resta comunque un atto incoraggiante al quale speriamo possano seguire altre prese di distanza verso paesi, come l’Arabia Saudita, responsabili di violazioni dei diritti umani e veri e propri crimini come l’assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, ucciso e fatto a pezzi nel consolato saudita a Istanbul il 3 ottobre del 2018. Proprio in questi giorni sono state diffuse delle trascrizioni di intercettazioni e audio ambientali che testimoniano l’orrore di quel delitto.
Dalla ricostruzione del processo in corso in Turchia, dopo essere stato assassinato a sangue freddo, sarebbe stato smembrato con una sega chirurgica.
Alcuni resti del corpo del giornalista, ha dichiarato Dogu Perincek, leader del partito di opposizione turco Rodina, sono stati gettati in un pozzo del giardino del consolato. Affermazioni che seguono le rivelazioni delll scorso anno alla Reuters di fonti dell’intelligence turca, secondo cui Saud al Qahtani, stretto consigliere e responsabile della comunicazione sui social media del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, avrebbe guidato via Skype le operazioni che hanno portato all’omicidio di Khashoggi nella sede diplomatica di Riad a Istanbul.
Lo staff del consolato saudita che si trovava dentro l’edificio al momento dell’ingresso di Jamal Khashoggi era stato allontanato dalle stanze durante l’omicidio con la scusa che fosse in corso un’ispezione interna da parte delle autorità di Riad.
Nonostante le evidenti responsabilità di apparati governativi, l’Arabia Saudita ha sempre negato le proprie responsabilità imbastendo un processo farsa contro alcuni esponenti dei servizi sacrificati come capro espiatorio.
Questa è la vera faccia di Riad, non quella della propaganda che nei giorni scorsi ha diffuso la notizia che nel regno Saudita il numero delle esecuzioni capitali nel 2020 è stato ridotto :dell’85%.
”Lo scorso hanno sono state eseguite “solo” 27 condanne contro il record di 184 detenuti giustiziati nel 2019” ha fatto sapere ieri attraverso un comunicato la Commissione per i diritti umani del Paese ultra-conservatore specificando come la drastica diminuzione sia legata all’attuazione di una moratoria nei confronti di chi commette reati connessi alla droga.
Per il presidente della commissione, Awwad Alawwad, il Paese “si sta concentrando più sulla riabilitazione e sulla prevenzione che sulla semplice punizione è sta dando una seconda possibilita’ ai criminali non violenti”. Ma la realtà è un po’ diversa.
Negli ultimi anni centinaia di persone sono state condannate in Arabia Saudita per il loro coinvolgimento in casi di terrorismo pur non essendo stati la gran parte giudicati attraverso un equo processo.
Altro elemento di propaganda è quello relativo ai presunti passi avanti nei diritti umani.
La retorica del Paese che sotto l’egida del principe ereditario Mohamed bin Salman starebbe intraprendendo una serie di riforme per modernizzare il Paese entro il 2030 è ormai dilagante attraverso ogni mezzo di divulgazione.
Negli ultimi mesi innumerevoli testate internazionali influenti hanno raccontato di come si siano registrati progressi nel riconoscimento dei diritti, soprattutto per le donne, nonostante continuino gli abusi e gli arresti nei confronti di attivisti e di oppositori. Lo scandalo più noto resta l’omicidio di Khashoggi, di cui l’Onu ha ritenuto Bin Salman il diretto responsabile. Secondo un rapporto di Amnesty International, l’Arabia Saudita e’ il terzo Paese al mondo per numero di esecuzioni.