Umberto Bellocco nasce a Rosarno il 17 dicembre 1937. Capo storico dell’omonimo clan, alleato con i Pesce di Rosarno, una struttura criminale ramificata nel centro nord e all’estero. Detiene la massima carica nell’ambito della ‘ndrangheta, avendo ricevuto il grado di “Crimine”, cioè il massimo grado della gerarchia mafiosa. Ha tenuto a battesimo con Raffaele Cutolo la sacra corona unita, esportando in Puglia i riti cerimoniali e l’indole violenta della famiglia. Sulla fronte una cicatrice che rappresenta un asso di bastoni per far capire a tutti che lui: è il numero uno della ‘ndrangheta. Le basi della mafia calabrese infatti poggiano sulla famiglia naturale del capobastone da cui prende il nome. Nel 1993 i cacciatori di Calabria lo avevano sorpreso nel suo rifugio tra i boschi dell’Aspromonte e la piana di Gioia Tauro. Il padrino era tra l’elenco dei 40 latitanti più pericolosi. Accusato di 14 omicidi, dal 1977 è stato processato condannato e assolto più volte.
La sfera privata di Umberto sembra non rispecchiare il galateo mafioso. Uno dei pochi “single” nel gotha della ‘ndrangheta, sul finire degli anni Ottanta intreccia con Elvira Messina ancora adolescente – una relazione clandestina dalla quale, nel 1989, nasce Ilenia; il boss e l’allora minorenne Elvira avevano concepito e allevato la loro figlia in regime di latitanza. La famiglia di lei si oppose alla relazione, dopo varie minacce, insulti, avvertimenti, da parte di Michele Messina fratello di Elvira, Umberto Bellocco, decise di lavare con il sangue l’affronto di colui che sarebbe dovuto diventare suo cognato. Michele, fu ucciso a Carmignano sul Brenta, nel padovano, il 15 maggio del ’91 per mano di Gregorio Bellocco, (cugino di Umberto) quest’ultimo condannato dell’omicidio nel dicembre del 1998 all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Padova. La cosca di Umberto Bellocco è una struttura criminale moderna che utilizza pratiche antiche per rafforzare la sua autorità e la sua autorevolezza: la dimostrazione è il matrimonio tra Ilenia Bellocco e Giuseppe Pesce, figlio di Antonino e fratello di Francesco, detto “Ciccio Testuni” esponenti di spicco della famiglia di Rosarno. L’unione aveva sancito una tregua tra le due famiglie di ‘ndrangheta riuscendo a cementare un rapporto che prima di quel matrimonio si era incrinato per ragioni di monopolio territoriale. Nel 2014 Umberto Bellocco, finito di scontare la sua pena detentiva, torna a Rosarno riprendendo “lo scettro” del comando: la sua principale constatazione era stata quella relativa alla perdita di potere della sua famiglia, sovrastata, nel tempo da quella degli storici alleati, i Pesce. Umberto infatti tornato al vertice del clan sosteneva che i suoi fratelli, quando erano liberi, non avevano avuto il coraggio di affrontare i Pesce si legge nelle intercettazioni effettuate dagli investigatori dei carabinieri: “lo, io, quando non ero fuori mi arrabbiavo con i miei fratelli, li chiamavo tutti pezzi di merda, sai per quale motivo? Gli ho detto: “siete tutti, 4 pezzi di merda, per un semplice fatto, che io vi voglio tanto bene, che io insomma ho rispettato, che io insomma ho ascoltato le vostre preghiere, le vostre titubanze e delle cose… insomma, vi ho compreso, ma vi odio. Gli ho detto: “pezzi di cornutelli di merda, fatevi un nemico, che voglio un nemico per litigarmi!”. Io non ho con chi litigarmi! Se ne stavano come gli stronzi, “ma come volevi ….. … neanche siete stati all’altezza di farvi in nemico!'”. Il boss minacciava ritorsioni “Vedi quando si sognano di nominare i Bellocco, neanche si possono sognare cosa gli può succedere! non se lo sognano!”, evidenziando che ormai lui era libero ed i Pesce non avrebbero più potuto atteggiarsi a padroni, in quanto prima della sua carcerazione il boss indiscusso della ‘ndrangheta rosarnese era lui. L’inchiesta della procura di Reggio Calabria del 2014 denominata “Sant’Anna”, lo rispedirà in carcere dopo soli tre mesi di libertà. Le indagini- coordinate dal sostituto procuratore all’epoca componente della DDA di Reggio Giovanni – evidenziano i rapporti datati nel tempo tra Umberto Bellocco e Caporosso Cataldo, personaggio appartenente alla criminalità organizzata tarantina- al quale Bellocco avrebbe conferiva il “grado” di padrino. E’ la conferma della “contaminazione” della mala tarantina. Documentati anche gli interessi della cosca nel traffico di sostanze stupefacenti, che vedono coinvolto Umberto Emanuele Oliveri, nipote di Umberto Bellocco prescelto dallo zio quale referente della famiglia di ‘ndrangheta, per il traffico di droga condotto attraverso il porto di Gioia Tauro. Ed infine la scoperta del Carabiniere infedele, tuttora non identificato, che passava le informazioni ai Bellocco ed era in grado di avvisarli su indagini in corso o sull’esecuzione di ordinanze a loro carico accresce il pericolo di fuga. Nel 2014 il pm della DDA di Reggio Calabria, Giovanni Musarò, nella sua requisitoria al processo contro il clan Bellocco sottolinea lo spessore del clan:”i soggetti che stiamo processando oggi appartengono ad una delle cosche storiche della Piana di Gioia Tauro che è anche una delle più brutali e spietate sia sotto il profilo di controllo oppressante del territorio che come efferatezza nei crimini. Basti pensare alla vicenda di Maria Concetta Cacciola (la testimone di giustizia) che non si è suicidata, ma è stata ammazzata; perché la cosca Bellocco ha fatto quadrato intorno a lei. Questa cosca non esita a far nulla, non esita neanche a corrompere i magistrati”.
Negli anni il clan di Rosarno ha rafforzato le sue proiezioni nel centro nord, con una significativa presenza nella capitale ed una massiccia ramificazione sul litorale tra Anzio e Nettuno. Ed è anche questa una delle caratteristiche e peculiarità di uno dei più potenti clan della ‘ndrangheta.