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Testimoni di giustizia indispensabili nella lotta al crimine organizzato

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La testimonianza contro le mafie è considerata un valore civico? In uno Stato di diritto come il nostro, testimoniare dovrebbe essere un normale dovere morale e civile da tutelare e indicare come esempio? In Italia, purtroppo, sempre più spesso, non è così. Le conseguenze di questa anomalia addirittura ricadono su chi compie questo dovere e sulla sua famiglia. Lo Stato non dovrebbe mai abbandonare chi si schiera dalla parte della giustizia e della legalità, anzi, dovrebbe proteggere i testimoni attraverso leggi appropriate, combattendo effettivamente la mentalità mafiosa che predilige il silenzio e l’omertà. Stiamo parlando di persone che hanno denunciato i loro estorsori o che hanno avuto la forza e il coraggio di deporre contro esponenti di clan mafiosi in un’aula di giustizia.

Dopo quasi trent’anni che mi occupo di strategie di lotta alla criminalità organizzata sono convinto che lo Stato (non solo l’apparato burocratico ma anche i singoli cittadini) debba, senza esitazioni, tutelare nel migliore modo possibile questi coraggiosi atti di civismo. Inutile insegnare ai ragazzi l’antimafia se poi in queste occasioni lo Stato si gira dall’altra parte. «Testimoniare» contro un clan mafioso significa spesso dire addio a un’esistenza dignitosa: niente più lavoro, niente più rapporti con i familiari, niente più contatti con la terra d’origine. Il mio amico Augusto Di Meo, testimone oculare dell’omicidio di don Peppe Diana, non ha mai avuto, per una serie di cavilli burocratici, il riconoscimento di testimone di giustizia pur meritandolo per il coraggio nel denunciare e testimoniare. Paolo Borsellino diceva: «Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola». Per non avere paura, tuttavia, occorre che lo Stato faccia la sua parte e agisca concretamente e presto. Le nuove mafie ormai non hanno più necessità di uccidere, a loro basta semplicemente annientare (con ogni mezzo) chi si è schierato dalla parte della legalità contro di loro, discreditando, isolando e facendo comprendere che la solitudine sarà la condizione di vita più diffusa per chi denuncia la malavita organizzata. La paura di essere abbandonati è lo stato d’animo più ricorrente per chi deve testimoniare. In uno Stato di diritto e in una democrazia questo non può e non deve accadere e i cittadini, in primis, devono ribellarsi a questa ingiustizia. Queste battaglie per la legalità si possono vincere solo se la comunità volterà un giorno le spalle alla criminalità organizzata fidandosi di uno Stato che le dimostrerà senza ombra di dubbio da che parte sta! Oggi, ancora una volta, mi interrogo su questo atroce dubbio!

Vincenzo Musacchio, giurista, più volte professore di diritto penale e criminologia in varie Università italiane ed estere. Associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Discepolo di Giuliano Vassalli, allievo e amico di Antonino Caponnetto.


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