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Siria dimenticata, i bambini le principali vittime di una crisi senza fine

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Aya aveva due anni. Ieri, dopo giorno di agonia, è morta nell’ospedale di Manbji, in Siria, stringendo la mano della sorella, che le è stata accanto fino alla fine.
Se la sono portata via la fame e gli stenti in questo freddo inverno che non lascia scampo ai bambini più fragili nei campi siriani.
Aya è il simbolo della Siria dimenticata, di un paese dove la gente in fuga dell’assedio dei fondamentalisti islamici, che ancora resistono all’esercito di Assad, continua a morire.
E poi ci sono le conseguenze sociali di questa crisi senza fine, amplificata dalla pandemia del coronavirus, che emergono in tutta la loro drammaticità nel rapporto ‘Reversing Gains’ di Save the Children.
La metà dei bambini che prima frequentava la scuola nel nord della Siria è stata tagliata fuori dall’educazione a causa dell’epidemia di Covid.
L’allarme lanciato dalla ong sulla condizione vissuta da tantissimi minori nell’area settentrionale del paese, dopo quasi dieci anni di conflitto, sfollamenti e povertà, si basa sui dati emersi esaminando i propri e i programmi di altre organizzazioni e intervistando quasi 500 insegnanti.
Le evidenze emerse sono allarmanti.
Si stima, infatti, che in tutta la Siria 2,45 milioni di bambini, ovvero uno su tre, non andassero a scuola già alla fine del 2019. Inoltre, la crisi da Covid-19 ha spinto un ulteriore 50% fuori dal sistema educativo nel nord del Paese, con il risultato che due terzi dei bambini non vanno a scuola in questa area. Tra il primo e il secondo trimestre del 2020, il numero di studenti dei programmi educativi di Save the Children è passato da oltre 11.200 a circa 7.775, mentre in alcune aree nel nordovest della Siria, i partner dell’organizzazione hanno raccontato di aver perso, dopo la chiusura delle scuole a marzo, quasi il 50% degli studenti. Gli insegnanti hanno confermato cifre simili anche per i campi di Al Hol, Roj e Areesha nel nordest, dove almeno 5.500 bambini hanno smesso di andare a scuola.
Dalle testimonianze degli insegnanti, emerge senza ombra di dubbio che la povertà è alla radice dell’abbandono scolastico dei bambini, causato principalmente dal costo dell’istruzione e dal lavoro minorile, spesso unica fonte di reddito per molte famiglie. Il lavoro minorile desta particolare preoccupazione nella parte nordorientale del Paese, dove il 79% degli insegnanti ha raccontato che gli studenti hanno abbandonato la scuola perché dovevano sostenere finanziariamente la propria famiglia. Circa il 60% degli insegnanti ha sottolineato, inoltre, che la pandemia ha avuto un forte impatto sulla continuità dell’istruzione nelle classi. La perdita di spazi fisici di apprendimento, a causa delle restrizioni per Covid-19, ha trovato nella didattica a distanza l’unica opzione di studio percorribile per molti minori, la maggior parte di loro però non può accedervi a causa della mancanza di mezzi informatici.
Per provare a ridurre le drammatiche conseguenze di questo fenomeno – e nonostante le diverse criticità che rendono arduo l’operato dell’organizzazione e dei suoi partner, come lo scarso accesso dei bambini a smartphone e Internet – quando le scuole sono state chiuse, Save the Children ha promosso, oltre all’insegnamento online, nuovi metodi di apprendimento a distanza, per raggiungere il maggior numero possibile di bambini, compreso quello che prevede che siano gli insegnanti a recarsi dagli studenti nelle loro case o i servizi di messaggistica di testo. Ameen, nome di fantasia di un 12enne che vive in un campo nel nordovest della Siria, deve studiare la sera e lavorare la mattina per poter provvedere ai suoi fratelli e alla madre. “Ho smesso di andare a scuola a causa del Covid-19 e lavoro nelle coltivazioni di cetrioli – ha raccontato – Un mese dopo aver abbandonato la scuola e aver lavorato per tutto il tempo, io e mia madre siamo riusciti a procurarci un telefono. Non ho rinunciato alle lezioni a distanza. Vado a lavorare durante il giorno e quando torno la sera, guardo le mie lezioni sul gruppo WhatsApp e ascolto gli appunti vocali inviati dai miei insegnanti, poi faccio i compiti e li invio al gruppo”.
“Un decennio di conflitto ha trascinato milioni di famiglie siriane nella povertà, costretto i bambini a lavorare solo per sopravvivere e ha spinto centinaia di migliaia di loro ad abbandonare la scuola, rendendo l’istruzione un sogno irrealizzabile. Save the Children e altre organizzazioni che operano nel settore dell’educazione hanno fatto il possibile affinché il maggior numero di bambini potesse imparare in uno spazio sicuro, realizzando così il proprio potenziale”, ha detto Sonia Khush, direttore in Siria per Save the Children, che chiede la riapertura delle scuole in modo sicuro, con un approccio che combini l’apprendimento in presenza, dove possibile, e l’istruzione a distanza. “Il Covid-19 ha ulteriormente esacerbato le sfide esistenti che impedivano ai bambini di apprendere – ha sottolineato – Temiamo che coloro che hanno abbandonato la scuola quest’anno non torneranno mai più. L’abbandono scolastico rischia di vanificare gli immensi sforzi che i bambini e le loro famiglie hanno fatto per continuare ad avere un’istruzione nonostante un decennio di ostacoli”.
In sostanza, l’ultimo rapporto di “Save the Children” ci dice che il mancato accesso all’educazione da parte dei bambini siriani rischia di avere un impatto devastante sul futuro del Paese.
Il settore dell’istruzione ha un disperato bisogno di risorse, e i donatori dovrebbero finanziare interventi destinati a far emergere le famiglie dalla povertà.
“Solo così i genitori e i tutori potranno garantire ai bambini la frequenza scolastica, anziché essere costretti a farli lavorare per sopravvivere” è la conclusione dell’analisi della ong.
In Siria ci sono vambini che a malapena arrivano ai dieci anni spesso sono costretti a lavori duri e degradanti per aiutare le proprie famiglie ridotte alla povertà assoluta. .
Poi ci siamo noi, dall’altra parte del Mediterraneo, incapaci di guardare oltre le nostre paure, ignorando il reale significato del rispetto dei diritti umani di cui ieri tanti hanno celebrato ipocritamente la Giornata mondiale. Fino a quando non utilizzeremo la libertà che abbiamo per chiedere la libertà e la dignità degli altri non saremo mai davvero liberi.

 


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