A quasi cinque anni dalla scomparsa e dalla morte di Giulio Regeni, il 28enne ricercatore di origine friulana sparito al Cairo il 25 gennaio 2016 e trovato cadavere il 3 febbraio successivo, la procura di Roma mette un punto finale all’inchiesta notificando gli atti a quattro dei cinque 007 egiziani (ufficialmente irreperibili) iscritti nel registro degli indagati nel dicembre del 2018.
“Un risultato significativo, una tappa importante” ma non “una festa”.
Così i genitori di Giulio hanno commentato la chiusura delle indagini sulla morte del loro ragazzo mettendo in chiaro che non hanno nessuna intenzione di fermarsi.
“Nessuno avrebbe pensato di arrivare dove siamo arrivati oggi ma noi siamo concentrati sul futuro perché nessuno ci ferma”, spiega mamma Paola nel corso della conferenza stampa che si è tenuta oggi alla Camera dei Deputati e coordinata dal presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana, Beppe Giulietti, dal primo momento accanto alla famiglia nella loro battaglia di verità e giustizia.
L’obiettivo, ribadito poi dalla legale Alessandra Ballerini, è quello di arrivare a “tutti gli anelli della catena perché le persone coinvolte sono tantissime”. L’immagine del figlio proiettata da Paola Deffendi è quella di uno specchio che “riverbera in tutto il mondo cosa sia la dittatura egiziana e come in quel Paese i diritti umani vengano violati ogni giorno”. Un paese verso il quale, secondo i Regeni, il governo deve “cambiare rotta” nei rapporti. Le richieste, esplicitate dall’avvocato Ballerini sono quelle di “richiamare immediatamente l’ambasciatore per consultazioni, dichiarare l’Egitto paese non sicuro e bloccare la vendita delle armi”. Tre mosse che rappresenterebbero un “sussulto di dignità” da parte di un esecutivo che da oltre un anno non ha più contatti con la famiglia. “L’ultimo è stato nell’ottobre 2019 quando abbiamo incontrato il ministro Di Maio”, ricorda il padre Claudio. Ma c’è di più. Dalla famiglia Regeni infatti arriva anche una richiesta alla Commissione d’inchiesta parlamentare che si sta occupando della vicenda di accertare le eventuali “responsabilità italiane” ovvero “quelle che mio marito ha definito zona grigie”, dice la madre del ragazzo. Per la signora Deffendi quella da portare avanti è una “lotta di civiltà” che va oltre la tragica morte del figlio. A tal proposito la supplica rivolta ai mezzi di informazione è quella di non “cannibalizzare” la figura del figlio. “Chiediamo rispetto per lui. No a libri, canzoni o film che pretendano di raccontarlo. Solo noi possiamo farlo”. Dal punto di vista istituzionale al fianco dei Regeni c’è sempre stato in prima persona il presidente della Camera, Roberto Fico. “Ringrazio la procura di Roma che ha fatto un lavoro incredibile fra mille difficoltà. Il quadro che hanno riportato oggi in Commissione è agghiacciante”, dichiara accodandosi alla volontà di “andare avanti” espressa dalla famiglia. E con un quadro della situazione più chiaro ora “nessuno” può tirarsi indietro dal fare la sua parte. Un ragionamento che vale sia per l’Unione Europea che per il governo. Su questo punto specifico Fico assicura che “tutto lo Stato italiano sta lavorando per la verità” ma sull’eventualità di richiamare l’ambasciatore la decisione spetta comunque “al premier Conte e al ministro degli Esteri Di Maio che faranno le loro valutazioni”.
Articolo 21 continuerà a chiedere verità e giustizia per Giulio Regeni attraverso la scorta mediatica e sarà sempre accanto a Paola e Claudio Regeni, “come è stato dal primo momento” ricorda la portavoce di Articolo 21 Elisa Marincola “all’indomani del ritrovamento del suo corpo, lanciando l’appello per listare a lutto i nostri siti e profili e per un sit in virale che aveva raccolto un’adesione incredibile, riempiendo web e social per chiedere #veritaegiustizia per #GiulioRegeni.
Un bel messaggio al governo egiziano, ma anche alle autorità di casa nostra e ai media italiani: attenti a rimuovere troppo in fretta, che si rinnova ogni 14 del mese con la scorta mediatica.