Processo a Shanghai – di Qiu Xiaolong

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Questa volta l’ha combinata grossa l’ispettore capo Chen Cao, il quale infatti non è più tale: sollevato dall’ incarico e spedito a dirigere “L’ufficio per la riforma del sistema giudiziario”, un organismo di pura facciata mascherato dietro il nome altisonante. Alle sue dipendenze ci sarà in tutto una segretaria neolaureata. Anche in Cina funziona a perfezione la classica formula latina: promoveatur ut amoveatur (sia promosso affinché sia rimosso): un’abile giravolta per togliere di mezzo un pezzo grosso diventato scomodo. I poteri millenari si assomigliano tutti.

È accaduto infatti che in una delle sue ultime inchieste Chen sia andato a infilarsi poco giudiziosamente nella lotta di potere per i vertici della Città Proibita, e ora per Pechino la sua posizione a Shangai è bruciata. Dovrà osservare una lunga ‘licenza di convalescenza’, eufemismo per indicare severi arresti domiciliari sotto stretta sorveglianza.

Dal nuovo ufficio, in cui non può neppure mettere piede, sarà la giovane segretaria Jin a tenerlo al corrente dei compiti ordinari ridotti peraltro al minimo. Lo attende l’assoluta inattività, che l’ispettore, buon letterato, si ripromette di riempire studiando un famoso personaggio della dinastia Tang: si tratta del giudice Dee, le cui imprese a favore della giustizia nell’aspro scontro tra i poteri, sono divenute una saga leggendaria, rievocata persino nell’appassionante romanzo “Poeti e Assassini”, dello scrittore scozzese van Gulick,

Immergendosi in quelle vicende di quindici secoli prima, Chen non disturberà nessuno e allo stesso tempo avrà l’opportunità di prepararsi su un argomento di grande attualità come la riforma del sistema giudiziario, avvertita improrogabile da gran parte del Paese.

Qiu Xialong, con il nuovo romanzo Processo a Shangai appena uscito da Marsilio, immerge il lettore ancora più profondamente nella realtà politica e sociale della Cina attuale, guidata con pugno di ferro dal Partito Unico, intoccabile e graniticamente consolidato nella casta dei Principi Rossi. Anche questa volta la trama riguarda un delitto misterioso per il quale il dipartimento di polizia, orbato della sua guida carismatica, non riesce a venire a capo. Inoltre è intervenuta la ‘Sicurezza interna’, come di consueto quando il delitto sfiora qualche nervo scoperto del potere.

Per prudenza l’ex ispettore capo Chen Cao dovrebbe astenersi da ogni coinvolgimento, ma viene attirato dentro l’enigma da Vecchio Cacciatore, padre di Yu, il collega che ha preso il suo posto al dipartimento. L’esperto poliziotto in pensione, personaggio assai familiare ai lettori di Xiaolong, ha aperto un’Agenzia di investigazioni private e a lui si è rivolto in segreto Sima, un alto personaggio della nomenklatura, per arrivare indirettamente a Chen, universalmente considerato lo Sherlock Holmes di Shanghai. L’incarico è di scoprire, senza badare a spese, cosa c’è dietro la morte violenta di Qing, la cuoca e cameriera tutto fare di una dama molto in vista nelle alte sfere; un fattaccio che sta suscitando enorme scalpore nell’opinione pubblica e potrebbe sfociare in uno scandalo irreparabile.

Unica indagata per il delitto è Min Luha, affascinante mingyuan (come venivano chiamate le celebri cortigiane prima del 1949), in quanto l’omicidio è stato commesso nel suo ristorante esclusivo, a tarda notte, quando tutti gli ospiti si erano ormai congedati.  La bellissima donna, in seducente quipao rosso fiamma, allestisce infatti nella sua ‘cucina privata’ raffinati banchetti per ospiti molto facoltosi, sfruttando la moda nostalgica di riassaporare, iniziando da cibi quasi ormai introvabili, un passato prerivoluzionario irripetibile. Non a caso lei è stata ribattezzata la Dama Repubblicana, e nel suo shikumen si danno convegno ogni sera pochi e sceltissimi privilegiati disposti a spendere cifre astronomiche per rivivere il clima retrò, non limitato evidentemente alla sola gastronomia. Min, al corrente di ogni trama mondana, è assai corteggiata dai suoi ammiratori, i quali per quanto ricchi e potenti, debbono prenotare con mesi di anticipo un posto alla sua mensa viziosa. Sennonché una notte, senza una ragione, è stata trovata morta con il cranio fracassato la cuoca dello shikumen, e per esclusione i sospetti ricadono proprio su Min, presumibilmente gelosa della sua collaboratrice. La situazione tuttavia non è chiara, e nessuno sa cosa può venire fuori quando si alza il coperchio sui peccati dell’alta società. Chen Cao dovrà tentare di giungere alla verità prima che sia troppo tardi, ma senza apparire in alcun modo se non vuole aggravare ulteriormente e forse irreparabilmente la sua posizione personale.

La carta fortunata è la giovane segretaria assegnata all’ufficio fantasma di cui Chen è nominalmente direttore.  Jin che si è laureata in storia, al contrario del suo capo ha una assoluta familiarità con tutte le risorse dei nuovi apparecchi digitali e della rete, rapidissima nell’eseguire ricerche e fornire informazioni preziose all’ex ispettore capo; il quale, per non tradirsi, è costretto a comunicare con lei attraverso fumose affabulazioni. Non a caso le parla insistentemente del giudice Dee, del quale si sta occupando ‘con crescente passione ‘per puro motivo di studio’. Rinviene infatti nelle vicende del celebre eroe di secoli addietro, singolari coincidenze con l’episodio di sangue su cui è stato chiamato a investigare. Jin che ha mangiato la foglia, lo segue senza difficoltà e, forse perché segretamente innamorata di lui, non fallisce una sola mossa sostituendolo nelle azioni che a lui sono precluse. È abile, intuitiva, e non le sembra vero di poter lavorare accanto a un personaggio tanto famoso, apprendendo metodi di indagine che si avvalgono persino della poesia e della letteratura.

Nella saga del giudice Dee, che Chen continua instancabilmente a compulsare, figura una dama accusata come Min di un delitto non commesso, una poetessa di nome Xuanji le cui liriche sembrerebbero anticipare le vicende che egli sta sperimentando di persona. Ne è talmente conquistato che, spronato dall’amico Kon, direttore del maggior giornale di Shangai, accetta di scrivere e pubblicare sul quotidiano un romanzo a puntate su quell’avvincente personaggio storico. Intanto, procedendo per vie traverse, sta sciogliendo senza parere i nodi della matassa ingarbugliata. Entra in confidenza con il famoso collezionista d’arte Chong, di cui condivide alcune debolezze culinarie, prima tra tutte le polpette di riso infilate nel bastoncino di pasta fritta, una ricetta della tradizione popolare ormai reperibile unicamente nel misero chiosco di un quartiere malfamato. Il ricchissimo antiquario, assiduo frequentatore e forse protettore di Min, vi si reca ogni mattina all’alba quasi per un rito irrinunciabile, e lo invita a assaggiare insieme quel sublime piacere. Purtroppo uscirà di scena nel peggiore dei modi, fornendo tuttavia all’amico una traccia preziosa, su cui Jin si getta senza esitazione.

Pur non essendoci prove che Chen stia indagando sul mistero dello shikumen, l’ex ispettore capo viene prelevato all’improvviso da un’auto dei Servizi e trasferito in una remota località di montagna, presso un albergo termale in cui gli è stata riservata una principesca suite. Il suo protettore di Pechino, Shang, gli suggerisce di accettare senza fiatare: in pratica il programma è di allontanarlo definitivamente da Shanghai dove pure ha servito fedelmente per decenni proteggendo la sua amata città da ogni intrigo malavitoso. Come andrà a finire?

Non spenderò una parola in più, i romanzi di Qiu Xiaolong vanno degustati fino all’ultima portata come gli impareggiabili banchetti della Dama Repubblicana. Ci saranno altre morti a ridosso delle oscure trame del delitto. Ma la sorpresa più imprevedibile è di natura romantica, legata a Jin, la giovanissima segretaria devota e infatuata. L’inscalfibile corazza di protezione che Chen si è imposta come una seconda natura, sembrerebbe andare in frantumi di fronte alle timide avance della graziosa collaboratrice, affidandoci un’incoraggiante prospettiva: una ben costruita composizione di versi può sortire esiti alla pari, se non superiori, a qualsiasi altro strumento investigativo.

Qiu Xiaolong, è talmente ammaliato delle liriche di Xuanji, disseminate simili ad ammiccanti lanterne rosse lungo l’intera narrazione, che al termine della storia non rinuncia a riproporci in appendice ancora una breve silloge dell’antica poetessa. Almeno una poesia ascoltiamola ancora:

A Zi’an guardando l’altra riva del fiume, addolorata

 

Mille foglie d’acero
E poi ancora mille
Si stagliano contro il ponte,
poche vele rientrano attardate, nel crepuscolo.

Quanto mi manchi?
I miei pensieri scorrono
Come l’acqua del fiume Occidentale,
che fluisce verso est, incessante,
giorno e notte.


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