Ciò che sta accadendo in Russia, non certo da oggi, è davvero allarmante. Il sostanziale sequestro di Lyubov Sobol, avvocatessa trentatreenne la cui unica colpa è di essere vicina al dissidente Aleksej Navalì’nyj, è uno scempio di fronte al quale non si può restare indifferenti. Come non si può restare indifferenti di fronte a ciò che sta accadendo nell’Egitto insanguinato di al-Sisi, nella Libia di al-Sarraj e Haftar e in molti altri paesi in cui non esiste più nemmeno una parvenza di democrazia e dove nemmeno le primavere arabe hanno portato i cambiamenti che pure, dieci anni fa, lasciavano presagire.
A Mosca e dintorni, tuttavia, tra oppositori scomparsi o morti in circostanze misteriose, siamo davvero oltre ogni limite. Dai tempi della Cecenia e del teatro Dubrovka, passando per i delitti eccellenti ai danni di Anna Politkovskaja e Aleksandr Litvinenko, sono trascorsi ormai quasi vent’anni: quattro lustri nei quali nulla è migliorato in Russia e, in nome di una realpolitik che non fa onore all’intero Occidente, si è taciuto e tollerato ciò che tollerabile non è. Non è tollerabile continuare a intrattenere rapporti normali con un paese in cui non sono rispettati i più elementari diritti umani. Non è tollerabile far finta di niente e non concedere lo spazio necessario, su giornali e televisioni italiane, alle sacrosante richieste dell’opposizione a quella che ormai si delinea come una vera e propria dittatura. Non è tollerabile che l’Europa non abbia una voce unanime nei confronti di un regime, anzi di vari regimi, con i quali bisogna cominciare a mettere le cose in chiaro se si vuole avere ancora un ruolo sullo scacchiere globale.
Non è tollerabile che la tragedia di Lyubov Sobol, che speriamo venga restituita sana e salva all’affetto dei suoi cari, si perda nell’oblio senza che il ministro degli Esteri abbia qualcosa da dire. Non è tollerabile che si continui a ritenere un partner come gli altri uno stato in cui il dissenso è bandito e chiunque osi opporsi al potere rischia la vita e, in alcuni casi, la perde. E non è solo una questione di diritti umani, ribadiamo: rimandando l’ambasciatore in Egitto, il governo italiano, allora presieduto da Gentiloni, ha fornito un’immagine di disarmante debolezza. Continuando ad accettare di discutere con Putin di essenziali questioni internazionali, senza mai porre sul tavolo il tema della democrazia e dei suoi valori non negoziabili, non facciamo altro che esporci inermi a ogni sopruso. A tal proposito, non è certo un caso se la Germania, l’unica nazione europea che ha fatto davvero la voce grossa con lo zar del Cremlino, reciti oggi la parte del leone nel Vecchio Continente. Alla Merkel va riconosciuto, infatti, il non piccolo merito di aver tenuto alta la bandiera dei diritti e degli ideali che dovrebbero essere comuni e purtroppo non lo sono, dimostrando di essere una statista a ventiquattro carati sulla quale, a partire dal prossimo autunno, non potremo più fare affidamento.
Quando il governo revocherà le restrizioni imposte dalla zona rossa, pertanto, non bisognerà esitare, nel rispetto delle misure anti-Covid, a organizzare manifestazioni, sit-in e incontri per riflettere sulla vergogna russa, così come abbiamo fatto a suo tempo sotto l’ambasciata turca e sotto quella ungherese.
Una democrazia è tale solo se accetta di confrontarsi unicamente con altre democrazie. Altrimenti è un simulacro di democrazia, nella quale le pulsioni autoritarie, peraltro sempre presenti in un contesto come quello italiano, a lungo andare rischiano di avere la meglio.
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