Cinquanta anni fa arrivò la legge sul divorzio. Una tutela formalmente rivolta a entrambi i coniugi, ma sostanzialmente tesa a salvaguardare le donne, la parte debole della coppia. Che fino a quel momento, erano – per tradizione – in stato di sottomissione al marito, sin dalla cerimonia religiosa del matrimonio, dove il prete sacralizzava questa condizione con formula solenne, cioè irrevocabile. La legge sul divorzio venne vista fin dall’inizio come un’insubordinazione di genere da parte del Vaticano, che organizzò subito la restaurazione spingendo sul referendum abrogativo, per rimettere la “costola di Adamo” al suo posto ancillare. L’attacco fu respinto, ma purtroppo la norma si dimostrò un’anomalia nella diffusa sub-cultura maschilista, difesa persino da molte donne. Ancora oggi, il diritto femminile al divorzio non è facilmente esigibile e troppo spesso si trasforma in femminicidio. C’è molto ancora molto da fare sul piano educativo, soprattutto nei confronti dei ragazzi. Che fin da giovani devono apprendere che la loro maggiore forza fisica nei confronti delle ragazze non li abilita a pretendere la sottomissione delle compagne, ma deve evolversi nell’autocontrollo collaborativo, unico atteggiamento che poi nella coppia genera il conforto duraturo della giustizia affettiva.
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